Scriveva Benedetto Croce:”… ah se queste mura potessero parlare!” E sicuramente le pietre opportunamente protette da una ringhiera a Piazza Calenda, nel cuore del quartiere Forcella, ed esattamente di fronte al teatro Trianon, avrebbero davvero tanto da raccontare, perché risalenti al III secolo a. C. I resti fanno parte della cinta muraria di epoca greca dell’antica Neapolis e potrebbe trattarsi di rovine della porta Herculanensis, in seguito detta porta Furcilla o Furcillensis.
Note come il “Cippo a Forcella“, le pietre sono state ritrovate in epoca piuttosto recente ed esattamente durante i lavori di Risanamento, ossia del recupero urbanistico che si rese necessario alla fine dell’800 per migliorare le condizioni igieniche, nonché logistiche di molte zone degradate della città. I napoletani ben conoscono l’espressione “Ua’ si ricorda il Cippo a Forcella” per indicare una cosa particolarmente vecchia o fuori moda; e queste mura così antiche hanno attirato l’attenzione di vari scrittori e sono inserite nel magnifico libro “101 cose da fare a Napoli almeno una volta nella vita”: “Quale azzardo costruire un convento sul più grande lupanare romano di Neapolis! Un pezzo di terra asperso di acqua benedetta e umori, intreccio di corpi e di anime, uno spazio dove chiudere un gruppo di vergini, sperando che basti una zaffata di incenso e un chiavistello al portone, per trattenerne i desideri. Forcella si contorce tra le storie compromettenti dei suoi vicoli moderni e le sue storie del passato, le spoglie di quel convento che non ha più mura che possano raccontare.
La monumentale istituzione della Vicaria, il mercato del dopoguerra e le due teste mantiche poste da Virgilio sulla porta Furcillensis (secondo la leggenda due teste di marmo sui lati di Porta Nolana) è un quartiere di uomini, abitato da donne. Il tempio di marte […] quella strada che parte dalle pendici del Vomero e scendendo assume due punti di bivio tra virtù e piacere. Le gallerie scavate nella roccia, il tempio di mitra, i vecchi segreti delle mura greche, di quel cippo, detto a memoria delle cose troppo vecchie. Sant’Arcangelo a Bajano era un impune sfida al bastone forcuto del diavolo.
Ha potuto davvero poco il Veni Sancte Spiritus ridondante per le navate, suonato durante l’estremo voto: non esistono mura abbastanza alte per tener fuori il mondo. Il convento era immerso nei tormenti quotidiani del quartiere. Troppa vita nell’atmosfera di convulsa partecipazione legata ai pubblici giudizi: corpi impalati, uomini condannati in catene che attraversarono lo slargo, infami alla colonna, esposti al pubblico ludibrio, debitori insolventi.
Il mondo varca il confine sulle urla della piazza, con la musica che la trombetta della Vicaria usava per leggere bandi e sentenze al popolo analfabeta. Bollore di carne, richiama altra carne; per donne strappate alla vita, sepolte contro il proprio volere. Se per altre rinchiuse sarà stato meno devastante perdere ciò che avevano solo lungamente immaginato, per Agata Arcamone, Laura Frezza, Chiara Sanfelice e Giulia Caracciolo fu davvero impossibile rinunciare ai piaceri di quei sensi già lungamente svezzati. Si liberavano ogni notte nel passaggio degli amanti, dietro la fontana di Medusa. Una bocca per inspirare un fiato dall’esterno. Presto gli scandali furono troppo numerosi, riti orgiastici, delitti e sacrilegi. Il convento fu soppresso nel 1577. […]”
Ma Forcella continua a pullulare di vita e l’invito è di affacciarsi alla ringhiera che custodisce il “cippo” per ascoltare voci antiche che narrano la loro storia immortale.