Trent’anni fa, il 26 settembre 1988, il giornalista Mauro Rostagno veniva ucciso a tradimento dalla mafia, mentre faceva ritorno a Saman, sede della comunità terapeutica che aveva contribuito a fondare a Lenzi, nella provincia di Trapani, allo scopo di aiutare i giovani tossicodipendenti ad abbandonare la via della droga e a ricominciare una nuova vita.
Un uomo la cui unica colpa fu quella di voler indagare sulle azioni della mafia nella zona di Trapani (tra cui gli eventi legati al processo per l’omicidio del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate).
A renderlo “pericoloso” fu, soprattutto, la sua collaborazione come conduttore per l’emittente televisiva locale Radio Tele Cine, da lui usata come strumento di denuncia delle collusioni tra mafia e politica locale, nel tentativo di far comprendere che solo attraverso la legalità era possibile costruire una società e uno sviluppo migliore per la Sicilia.
Le indagini e il processo ai mandanti del suo omicidio, conclusosi solo nel 2014 (dopo circa 26 anni), sono state dure e tortuose; sia per i depistaggi collegati ai suoi legami passati con Lotta Continua, sospettata di aver preso parte all’uccisione del commissario Luigi Calabresi, sia per l’entrata in scena di piste alternative a quella mafiosa, la più importante delle quali era legata a un traffico di armi con la Somalia.
Dal 2009, in suo onore, è stato creato il premio di giornalismo scolastico “Mauro Rostagno”, promosso da “Libera, associazioni, nomi e numeri contro le mafie, nel tentativo di preservare, alle generazioni future, le sue azioni, affinché fungano da esempio per chi ancora combatte per far rispettare concetti come onestà e legalità, che ormai rischiano di trasformarsi in parole prive di significato.
Oggi, più che mai, abbiamo bisogno di uomini del calibro di Mauro Rostagno, se vogliamo creare una società più giusta.