Da tempo, un gruppo di otto crateri giganti – presenti nel permafrost siberiano e profondi una cinquantina di metri – destano curiosità tra gli scienziati. Siti nelle penisole russe di Yamal e Gydan – e assenti in altre regioni artiche – secondo alcuni potrebbero essere stati, in precedenza, laghi nei quali affluiva gas naturale. Tale ipotesi – illustrata su EarthArXiv – si rifarebbe a determinati fenomeni derivanti da specifiche condizioni geologiche, poi confluiti nei cambiamenti climatici globali. Infatti, le temperature molto basse avrebbero impedito l’afflusso del gas – dopo le esplosioni che li hanno generati – mentre il permafrost finiva per “fungere” da “sigillante”, grazie allo “spessore variabile” solidificatosi in un periodo di quarantamila anni. Ma ora, tali sedimenti marini antichi – oggi ricchi di metano e di vaste riserve di gas naturale – generando calore, stanno sciogliendo lo strato protettivo, formando delle sacche gassose alla sua base, la cui pressione rischierebbe di causare non solo il collasso del manto ancora esistente, ma anche di scatenare un’esplosione di notevole potenza, in grado di scagliare come proiettili frammenti di ghiaccio e sedimenti a grande distanza.