L’equipe della Fondazione Vulci, che da tempo lavora per poter analizzare i reperti e riavviare l’opera di restauro dell’omonimo parco archeologico, ha reso nota la “presunta” scoperta di una tomba che sarebbe rimasta inviolata per duemilaseicento anni, e che potrebbe appartenere alla cosiddetta “ragazza della birra“. All’interno della necropoli denominata “dell’Osteria” è stato individuato lo scheletro di una donna con, dentro la sua sepoltura, diversi oggetti rarissimi, databili nella prima metà del VI secolo a.C.; secondo le prime ipotesi, sembra che possa trattarsi della ragazza che era addetta alla mescita del vino o della birra.
Per il momento, proseguono le indagini per poter ricostruire l’identikit della defunta, basandosi sui reperti ritrovati; nel dettaglio un balsamario in faience, di potenziale fattura egizia, rappresentante una figura femminile con la tipica acconciatura e un mantello di pelle maculata di leopardo, che risulta allacciato sotto il collo. La donna che vi è raffigurata risulta accosciata e regge con le gambe un grande vaso, che sembra chiuso con un lembo di pelle; la struttura ossea risulta ancora in connessione anatomica e, secondo una prima analisi, dovrebbe appartenere a una giovane donna ventenne, alta intorno a un metro e settanta centimetri, con indosso una collana d’ambra.
Il suo corredo funebre per accompagnarla nell’aldilà consiste in una grande olla, chiusa da una coppa di stile ionico, da un attingitoio, una brocca e un kyatos: tutti e tre, quest’ultimi, sono stati realizzati in bucchero. Si presume che la giovane potrebbe essere stata, un’addetta alla mescita del vino; a dimostrare tale ipotesi il balsamario, con la chiusura in pelle del vaso, che rimanda al processo della fermentazione di liquidi e il modesto corredo, che sembra dimostrare un’origine non aristocratica, ma piccolo borghese, denunciata dalle ambre e dalla faience.