San Biagio, nato a Sebaste in Armenia, è un santo guaritore e ai suoi poteri, tipici del mondo agricolo e pastorale, ebbe molta diffusione sia in Oriente che in Occidente.
Vissuto tra il III e il IV secolo, fu vescovo e medico. A causa della sua fede venne imprigionato dai Romani, durante il processo rifiutò di rinnegare la fede cristiana; per punizione fu straziato con i pettini di ferro, che si usano per cardare la lana. Morì decapitato, poi 3 anni dopo (313) fu concessa la libertà di culto. Perseguitato dal cognato di Costantino, ovvero Licinio egli si rifugiò sul monte Ardeni, dove tutte le bestie dei boschi venivano a lui mansuete ed egli le accarezzava; così come medico e con l’aiuto del Signore sanava tutte le infermità sia delle bestie sia degli uomini.
Particolare era un guaritore quando qualcuno inghiottiva un osso, o una spina, e questa si metteva di traverso nella gola, il santo con la preghiera l’estraeva.
Famoso è il miracolo di una povera donna che aveva un porco, il quale fu rapito da un lupo, costei andata dal Vescovo gli chiese aiuto e il santo minacciò la bestia che rilasciò il porco. Quando fu imprigionato la vedova andò a trovarlo in carcere portandogli di nascosto parte del maiale cucinato con legumi. Il Vescovo la benedisse e l’ammonì, che dopo la sua morte facesse questo ogni anno nel giorno della sua commemorazione, così la sua casa sarebbe ricolma d’ogni bene. Dopo averlo straziato con i pettini e portato in carcere, 7 donne lo seguirono, le quali col sangue del Santo ungevano il loro cuore e volto: i custodi delle carceri presero le donne, e le portarono al giudice, e le sante donne confessarono, che Cristo era Dio; furono rilasciate; ma le donne non contente di ciò andarono dagli idoli sputandoci sopra, li racchiusero tutti in un sacco e li gettarono nel fiume.
Riandate dal giudice dissero: «Vedi la forza dei tuoi dei, se possono uscire dal profondo lago». Il giudice cercò di corromperle con sete preziose ed ori. Le donne gettarono le tele nel fuoco e sputarono sopra gli ornamenti. Così si sdegnò il giudice, e comandò che subissero lo stesso trattamento di S. Biagio per poi bruciarle, ma uscirono illese, così furono decapitate. Nel frattempo il Santo fu gettato nel fiume ma egli si sedette sul livello dell’acqua, così entrarono 79 soldati per estrarre il santo ma affogarono. Prima di farsi tagliare la testa chiese a Dio di salvare a suo nome tutti coloro che lo invocheranno per salvarsi da spine ed ossi alla gola.
La leggenda aurea vuole che si sentì una voce che rispose che avrebbe adempiuto alle sue richieste. Alessio prese il corpo e la testa del Vescovo e l’avvolse in una sindone e lo seppellì sotto il muro della città.
Fin dal VI secolo in trattati medici dell’epoca si citava l’intercessione del santo come potente rimedio contro le malattie della gola; ma il popolo ha considerato utile l’intervento di Biagio anche per malattie più generali e per altre infermità specifiche. Altrettanto potente è considerato Biagio come protettore degli animali domestici. La data della sua festa cade il 3 febbraio in Occidente e l’11 febbraio in Oriente. Non c’è regione d’Europa che non conosca un culto di Biagio.
Caratteristici sono i riti per la sua festa, che prevedono la benedizione dei cibi e della gola con due ceri incrociati e che si ricollegano direttamente alle istruzioni che il santo diede alla madre del bambino guarito e alla vedova su come celebrare la sua memoria e invocare il suo aiuto. In alcuni luoghi vengono mangiati dei pani rituali “Cavaduzzi e i Caddureddi” (Salemi).
Il santo viene rappresentato in abbigliamento da vescovo, talvolta con in mano un pettine di ferro, a rappresentare gli strumenti con i quali fu torturato. Molte città oggi hanno una parte delle reliquie del Santo, per l’uso di distribuire in passato ed accontentare i fedeli, in Campania: Casal di Principe e S. M. Capua Vetere, Cardito, Palomonte (SA), Mugnano di Napoli, Avellino ed Eboli.
A Napoli, nella Sala del Tesoro della Basilica di San Domenico Maggiore, si conserva, in un reliquiario a forma di braccio, un frammento d’un dito del martire. A Lanzara, in Campania, è consuetudine mangiare la famosa “Polpetta di S. Biagio“, e, per tener viva questa tradizione, nel periodo della festa viene fatta la “Sagra della Polpetta”, tra le più longeve dell’Agro Nocerino Sarnese.
La tradizione partenopea ci porta ad una storia che diede lo spunto per la nascita di un detto popolare: “Nun sape’ niente ‘e San Biase” questi viene usato quando una persona è all’oscuro delle situazioni ma sta fingendo perché ne è implicato o almeno conosce i fatti. Ricordando Salvatore Loschiavo che ne riportò i fatti storici, si racconta che nel 1808 si ebbe il furto della statua nella chiesa omonima sita a San Biagio dei Librai (che prende il nome dal santo che fu ritenuto protettore dei librai a cui la parola -gola- era fondamentale). Quindi iniziarono ad indagare ma i ladri non furono scoperti e chi aveva visto preferì tacere.
L’anno dopo toccò la stessa sorte alla statua di un altro patrono ovvero Sant’Antonio Abate, ma questa era molto pesante e grossa e non vi riuscirono tanto da essere fermati e arrestati. Così la statua fu ritrovata anche di San Biagio. Questa volta i ladri vennero scoperti perché uno di questi urlò alla statua del santo abate: “Saglie, ‘nTuono, ca’ Biase è sagiuto!”. Questo detto oggi si usa per incitare alle persone a fare un qualcosa quando non vi riesce, e quindi di indicare – informare che se ci è riuscito San Biagio ci può riuscire pure Sant’Antonio Abate.