Bertil Lintner, giornalista svedese da anni attivo in Asia e in Medio Oriente, ha di recente documentato su Asianews come i gruppi islamisti, presenti in tali regioni, stiano approfittando dei problemi che i profughi Rohingya devono affrontare nei campi profughi dove sono costretti a vivere per fare proseliti allo scopo di causare attentati.

L’Arakan Rohingya Salvation Army (Arsa), un gruppo armato sorto nell’ottobre 2015, e subito giunto agli onori della cronaca per aver attaccato tre postazioni di polizia, provocando la morte di 9 agenti, sta tentando di radicalizzare i profughi della propria etnia, che da anni sono costretti a una vita dura in campi che sembrano veri e propri lager di tipo nazista.

Quello che rende una bomba pronta ad esplodere è il fatto che le autorità del Myanmar, invece di tentare una via diplomatica che risolva i problemi in cui versa tale minoranza – approfittando del fatto che l’Arsa non ha legami di affiliazione con Al Qaeda e L’Isis – abbiano già etichettato il tutto con la dicitura “terrorismo”, preparandosi ad usare solo la forza e nient’altro.

Tutto l’attuale scenario, che rischia di tornare a vantaggio unicamente del “terrorismo islamico”, è legata ai problemi in cui versano vari strati della popolazione, costretta ad attività illegali per sopravvivere e a dover subire violenze settarie che il loro governo non riesce o non cerca affatto di fermare, rendendo il problema ingestibile.

Quanto sta rischiando di avvenire in Myanmar potrebbe accadere in altre parti del Medio Oriente, dove gruppi del calibro di Al Qaeda e dell’Isis potrebbero fin troppo facilmente utilizzare le “azioni contraddittorie” per rimpolpare le loro fila con individui in cerca di riscatto e di vendetta contro chi ha calpestato la loro via e la loro dignità.

Uno scenario di tale portata potrebbe avvenire presto in Palestina, dove la politica di Israele ha finora portato, unicamente, a un peggioramento con i rapporti con l’Autorità Nazionale Palestinese, facendo temere la radicalizzazione della sua popolazione, che potrebbe vedere ciò come unica soluzione per ottenere un proprio stato.

Cambiare le cose è ancora possibile, ma ci vogliono coraggio e decisione a un dialogo vero e costruttivo.

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