Sulle coste del Belgio, pochi giorni fa, il 24 ottobre, una balenottera della lunghezza di 18 metri e del peso di 35 tonnellate, si è spiaggiata la scorsa notte nella zona del litorale del Coq.
Tale raro caso ha attirato l’interesse di biologi e ricercatori dell’Institut Royal des Sciences Naturelles de Belgique (Irsnb) e dell’Università di Gand, che stanno cercando di comprendere come un tipo simile di cetacei non indigeno (che di solito vive nelle acque più fredde dell’Atlantico, in Islanda e Groenlandia) sia potuta giungere fin qui.
Al momento, tra le ipotesi vagliate, c’è quella che l’animale fosse in cerca di nutrimento a causa dell’inquinamento del suo habitat vitale, da anni sottoposto all’invasione di materiale plastico non biodegradabile, che ha condotto alla morte numerosi cetacei per ingestione di tale sostanza (alcuni residui plastici, trovati sulla pancia della balena, sono in fase di analisi per determinare tale eventualità).
Non è la prima volta che una creatura del mare muore in tali circostanze; dall’alba dell’industrializzazione, eventi del genere avvengono, spesso a causa dell’incoscienza dell’uomo, che si dimostra inadatto a proteggere l’ambiente in cui vive.
Quante volte si è assistito, in televisione, alle immagini di petroliere danneggiate che riversano, nelle acque marine, quintali di petrolio, che si dimostra letale non solo per i pesci, ma per tutta la biosfera marina, oltre che per gli uccelli che hanno la sfortuna di rimanere intrappolati in una tale “trappola ecologica”?
A testimoniare il pericolo mortale che corrono i nostri mari è anche l’esistenza della Great Pacific Garbage Patch, 79.000 tonnellate di materie plastiche distribuite su di un’area di 1,6 milioni di chilometri quadrati; se non ci sarà un cambiamento a tale situazione, entro il 2050 la plastica presente negli oceani supererà in peso quello di tutti i pesci presenti nei mari, portando, inoltre, all’estinzione del 99% degli uccelli marini.
Dobbiamo cambiare modo di agire adesso, oppure sarà finita.