In questi giorni mi è capitato di trovare, sepolta tra vecchi libri, una raccolta di tragedie greche.
L’opera si apre con l’“Antigone” di Sofocle.
Antigone, figlia di Edipo, in seguito all’uccisione del fratello da parte del tiranno Creonte, decide di seppellirlo nonostante la contrarietà del sovrano e trova, quindi, la morte.
Antigone è un personaggio particolare. Nonostante per la sorella e per alcuni elementi della tradizione greca sembri peccare di hybris (tracotanza, eccesso dei limiti umani) ella pone, in realtà, un dubbio nella mente del lettore: cosa ha più peso? Le leggi dello Stato, in particolare dello Stato dispotico o le leggi divine, che potremmo definire anche come leggi della ragione?
In questa domanda si nasconde la grande modernità dell’opera di Sofocle, che riesce, dopo millenni, a creare nella mente del lettore (nonostante la grande evoluzione che hanno avuto filosofia, politica e storia) un fortissimo dubbio.
Infatti, malgrado Creonte sia sicuramente un tiranno, egli appare ragionevole e saggio in molte delle sue scelte (evita di favorire i propri parenti, dichiara di seguire sempre le parole dei suoi saggi consiglieri, etc), quasi a voler ingannare il pubblico.
Tuttavia egli, come tutti i despoti, senza alcuno che limiti la sua volontà, finisce per intestardirsi su una scelta infausta (quella, cioè, di voler punire Antigone) e va così incontro alla propria rovina.
Un altro importantissimo tema trattato dalla Antigone è l’emancipazione femminile.
La nostra eroina rappresenta, infatti, l’immagine di una donna che riesce a prendere decisioni autonome e a liberarsi dallo stato di minorità a cui è costretta dalla società del tempo.
In opposizione, abbiamo la figura della sorella, Ismene, che, cercando di dissuadere Antigone dalla sua pericolosa missione, si presenta come tipica immagine della donna dell’Antica Grecia, che, relegata in casa e soprattutto esclusa dalla vita politica, non è in grado di pensare oltre i propri limiti.