Sul Decumano Inferiore della città partenopea sorge un sito religioso che è stato recuperato e valorizzato negli ultimi anni: la chiesa di Santi Filippo e Giacomo. Luogo di aggregazione e parrocchia è stata affidata all’Associazione culturale Respiriamo Arte, che nasce con lo scopo di diffondere la conoscenza del patrimonio storico, archeologico, monumentale, artistico, costituito da un gruppo di studenti universitari specializzati in campo artistico e letterario. Nata nel 2013 e guidata dal presidente Massimo Faella, con il consenso del parroco Padre Mariano Imperato, questa associazione dopo un accurato lavoro di ricerche in archivio e biblioteche ed interventi di manutenzione ha riportato alla luce i luoghi nascosti dell’Arte della Seta.
La Corporazione dell’Arte della Seta è nata ufficialmente nel 1477 come Consolato dell’Arte della Seta con tre consoli, ovvero un tessitore e due mercanti e pochi anni dopo dal 1580 al 1630 si impone come grande città produttiva di seta. Quest’antica arte di grande fu importante dal punto di vista economico dal ’500 alla fine dell’800 a Napoli a cui venne tolto il primato con la rivoluzione industriale. Infatti la Corporazione attraverso il sostegno del re di Napoli, Alfonso d’Aragona, raggiunse una notevole potenza; tant’è vero che si occuparono di abolire i dazi doganali permettendo così di esportare senza dover pagare. La prima chiesa dell’Arte della Seta, già dedicata ai Santi Filippo e Giacomo (protettori dei setaioli e delle malattie cutanee), sorgeva nei pressi di piazza Mercato a via dei Berrettari ed era legata ad un conservatorio. Quest’ultimo ospitava le figlie degli artigiani poveri, malati o deceduti che appartenevano alla Corporazione. Successivamente per l’aumento del numero delle ragazze, fino a 300, fu necessario donare loro una sistemazione più degna, pertanto furono trasferite nel luogo dove sorgeva il palazzo dei Principe Gaetani di Caserta. I consoli acquistarono anche il palazzo del principe di Caserta Acquaviva per costruire il nuovo conservatorio e successivamente il palazzo del duca Spinelli di Castrovillari, oggi vi è infatti testimonianza, nonché una particolarità, una stradina che collegava i due cardini, risultato visibile posto come corridoio all’interno del complesso. L’edificio fu costruito definitivamente nel 1593 ed ospitava oltre alla chiesa, un tribunale con funzione sia civile che penale. Tra i tanti documenti ritrovati Don Giulio Genoino, appartenente alla corporazione dei setaioli, attraverso i soldi della stessa riuscì a riscattare la moglie di Masaniello, arrestata per contrabbando d’olio.
La chiesa si pone con una facciata leggermente rientrata rispetto al Decumano Inferiore di S. Biagio dei Librai ed è caratterizzata da due ordini: in quello inferiore con nicchie vi sono le sculture dei Ss. Filippo e Giacomo, opere di Giuseppe Sanmartino mentre in quello superiore nelle nicchie troviamo le statue della Religione e della Fede di Giuseppe Picano, suo allievo. L’interno, sui dettami controriformisti, è a navata unica senza transetto e con spazio absidale coperto da una cupola, con ai lati quattro cappelle. Sfortunatamente nel 1635 scoppiò un incendio distruggendo buona parte della chiesa ma sarà la decadenza dell’Arte della Seta fu conseguenza sia alla Peste e sia della domanda bassa da parte del popolo. Nel frattempo si era sviluppata la Moda Francese che cambiava continuamente, ogni anno, abito o tecnica o intarsio nelle cuciture cosicché non vi era il tempo necessario agli altri di poterne copiare il modus operandi. Poco dopo si ebbe la ricostruzione e l’aiuto soprattutto con Carlo di Borbone, nonché l’imposizione alla corte l’utilizzo di sete solo napoletane. Ma fu tutto inutile anch’egli dovette sottostare alla nuova Moda. All’interno della chiesa oltre ad ammirare maioliche, affreschi e dipinti di grandi autori e di grande rilievo, con l’Associazione è possibile scendere e visitare l’ipogeo con un misterioso altare che mostra un forte richiamo massonico e ricorda quello della Chiesa dell’Anime del Purgatorio ad Arco. Nella cripta dove venivano sepolti i poveri della corporazione, vera e propria area cimiteriale. Infine dalla sacrestia, che stipa un unicum napoletano ovvero l’altare ligneo dorato con prospettiva del maestro intagliatore Marco Antonio Tibaldi, si accede all’area archeologica con resti romani di una domus. Eco quello che questo scrigno d’arte intessuto di seta oggi nasconde allo stolto passante che non guarda oltre e non respira arte, ma che cede solo alla debolezza del ricordino e della visita mordi e fuggi.