Charles Foster Kane.

Il protagonista di Citizen Kane (qui in Italia ribattezzato Quarto Potere): un tipico esempio di “self-made-men” americano – interpretato dallo stesso Orson Welles – con il quale quest’ultimo esplora non solo l’ambiguità morale e il desiderio di imporre agli altri la propria visione del mondo, ma anche il pericolo di quello a cui si può andare incontro se non si è in grado di porsi il problema o la preoccupazione di cui ciò possa portare.

Nel caso di Kane, la sua completa mancanza di empatia e la totale incapacità di aprirsi agli altri e di amare se non “solo alle sue condizioni”, finiscono per portarlo a farsi, tra coloro che “riescono ancora a stargli vicino”, unicamente terra bruciata, con la tragica e amara conseguenza di creare il più completo vuoto intorno a sé, finendo per rimanere solo all’interno della sua gigantesca residenza – in realtà un sepolcro incompleto in rovina, freddo come la sua anima – dove muore abbandonato da tutti.

Proprio il fatto che, solo alla fine, si scopra che l’oggetto a cui fa riferimento alla sua morte all’inizio del film – la piccola slitta con cui giocava da bambino – permette, drammaticamente, di comprendere che lui rimpiangeva profondamente i suoi primi anni di vita, quando sua madre decise di affidarlo alla tutela di un uomo d’affari, incaricato di amministrare la sua smisurata eredità, venendo strappato, giovanissimo, al suo mondo d’infanzia.

Sarà a causa di questo trauma – avvenuto in un momento di profonda vulnerabilità – che finirà per fargli concepire l’amore solo e unicamente come possesso, non come dono, conducendolo, sempre più inesorabilmente, alla disperazione e all’isolamento, dopo il logoramento sistematico del primo matrimonio e il traumatico divorzio del secondo – a causa del voler imporre alla seconda moglie una carriera lirica per la quale non era portata – che lo porrà davanti alla verità, ma senza che lui possa fare niente per “abbattere” il muro con cui si è separato dagli altri.

Ma le cose sarebbero andate in maniera differente, se Charles fosse stato inviato a prepararsi per la vita che lo aspettava quando fosse stato in grado di capire le motivazioni della madre?

Forse, iniziando il suo apprendistato sotto la supervisione del banchiere Walter Parks Thatcher in età adolescenziale, Kane avrebbe potuto avere una maggiore stabilità emotiva, che gli avrebbe permesso di poter gestire meglio il suo ego, rimanendo animato dall’irresistibile spinta di onestà degli inizi quando rilevò il New York Inquirer, finendo per non concentrarsi solo sulla stampa scandalistica, ma anche in altri ambiti, riuscendo ad avere una vita meglio tragica e dolorosa.

Nel suo insieme, Orson Welles dà vita a un perfetto connubio tra un film giallo e una spietata critica al sogno americano, in grado non solo di creare ricchezza, ma anche di portare all’autodistruzione chi non riesce a gestirlo, se ad animarlo vi è solo desiderio di potere e di dominio.

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