Sulla rivista internazionale Peer J, in questi ultimi giorni, un gruppo di geologi e paleontologi del MUSE ha illustrato il sorprendente ritrovamento di un nuovo tipo di impronta fossile totalmente sconosciuta nell’Alta Val Maira in provincia di Cuneo, lasciata da un antico rettile preistorico della lunghezza di circa quattro metri.

A lasciarla, sembra essere stato un grande rettile da cui discendono i coccodrilli in un periodo risalente a circa duecentocinquanta milioni di anni fa, nell’altopiano situato nel comune di Canosio, ad una quota che si aggira sui duemila duecento metri.

La squadra di geologi e paleontologi, basandosi sulle tesi del geologo dronerese Enrico Collo – supportate dal prof. Michele Piazza dell’Università di Genova e dal prof. Heinz Furrer dell’Università di Zurigo – è riuscita a identificare diverse tracce di calpestio lasciate da grandi rettili in alcune rocce; una cosa insolita, dato che, normalmente vengono ritrovate in fondali fangosi o in prossimità di un delta fluviale.

Secondo gli scienziati consultati, le orme fossili sono dell’icnogenere Chirotherium, e il loro stato di preservazione è davvero straordinario, al pari della loro morfologia, che sembra avvalorare la presenza di grandi rettili in un luogo e un tempo geologico da sempre considerato inospitale.

Le rocce nelle quali sono state trovate impresse le impronte si formarono pochi milioni di anni dopo quella che è considerata la più grande estinzione di massa della storia della vita, l’estinzione permotriassica, e permette di ribaltare l’ipotesi secondo cui quest’area fosse inadatta alla vita.

“È stato molto emozionante notare appena due fossette impresse nella roccia, spostare un ciuffo erboso e realizzare immediatamente che si trattava di un’impronta lunga oltre trenta centimetri: un vero tuffo nel tempo profondo, con il privilegio di poter appoggiare per primo la mano nella stessa cavità dove in centinaia di milioni di anni se n’era appoggiata soltanto un’altra; mi è venuto spontaneo rievocare subito l’immagine dell’animale che lasciò, inconsapevolmente, un segno duraturo nel fango morbido e bagnato, ma destinato a divenire roccia e innalzarsi per formare parte della solida ossatura delle Alpi”. Questo il giudizio del paleontologo Edoardo Martinetto del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Torino, che ha preso parte alla scoperta delle nuove tracce.

Fonte articolo: Peer J & Muse Trento

Fonte foto: touringclub.it

FONTEPeer J & Muse Trento;
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