Sono “Soggetti” a conoscenza di un fenomeno criminale che decidono di collaborare con lo Stato, in particolare con la Pubblica Accusa.

La magistratura nostrana è sicuramente coinvolta nel riconoscimento di questa figura: il Servizio Centrale di Protezione provvede alla tutela e alla incolumità fisica di quelli a cui è attribuita la predetta qualifica. In effetti questo pentimento non può essere inteso come il rifiuto di ciò che si è stati (i pentiti prevalentemente, prima di tale atto, hanno partecipato, a vario titolo, alle azioni delittuose più efferate), ma consiste in una vera e propria volontà di essere diversi, basata su un ripensamento, non suggerito da nessuno, ma spontaneo, della propria condotta tenuta in passato. Il collaboratore di giustizia si autoaccusa e/o accusa altri di azioni delittuose e di ciò si pente con la propria collaborazione.

Parliamo di una figura particolare che non dobbiamo confondere con il testimone di giustizia che, a differenza del primo, non ha commesso alcuna azione delittuosa e che collabora per motivi diversi. Un esempio concreto di questa differenza lo ritroviamo in Lea Garofalo, che, non avendo commesso nessun crimine, divenne testimone di giustizia, soggetta a protezione dal 2002, in quanto volle testimoniare sulle faide criminali tra la sua stessa famiglia ed altre malavitose appartenenti alla “ndrangheta”. Però il 20 novembre 2009 Lea Garofalo, che mesi prima aveva rinunciato alla protezione, fu attirata in un agguato ed uccisa.

Il fenomeno del pentitismo, importante per lottare contro la mafia, comincia ad avere rilievo in Italia dagli anni ’80 e il suo “battesimo del fuoco” si avrà nel primo maxiprocesso di Palermo contro la mafia. Tommaso Buscetta fu il primo grande pentito. Infatti il 18 luglio 1984, dopo essere stato estradato dagli Stati Uniti in Italia, collaborò con il giudice istruttore Giovanni Falcone, che ebbe una parte rilevante in quella famosa istruttoria. Soltanto il 15/01/1991 fu emanato il decreto-Legge n.8, convertito nella Legge n.82/1991, che disciplinò la materia della protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia nei vari processi di mafia. Successivamente intervenne una modifica con il decreto-Legge n. 152/1991, convertito nella Legge n.203/1991, con cui furono introdotte delle fattispecie premiali per i “pentiti” di mafia. Ulteriori modifiche furono apportate con la Legge n.45/2001 e con la Legge n.63/2001.

Furono dettate delle regole precise: tra queste, quella secondo cui il collaboratore di giustizia non può intrattenere alcun tipo di corrispondenza epistolare, telegrafica o telefonica con altri criminali o collaboratori di giustizia, salvo la espressa autorizzazione dell’autorità giudiziaria o l’obbligo per il “pentito” di dare al Procuratore della Repubblica, entro 180 giorni dalla manifestazione della volontà, di pentirsi, tutte le notizie in suo possesso “utili” alla ricostruzione dei fatti e delle circostanze su cui è interrogato e degli altri fatti di maggiore gravità di cui è a conoscenza, ecc. Naturalmente lo Stato può fare un passo indietro, laddove le dichiarazioni del pentito risultino successivamente false o reticenti: per esempio, in questo caso, è prevista la possibilità di riformare in negativo la sentenza irrevocabile di condanna con cui sono state concesse le attenuanti al pentito, su espressa richiesta del Procuratore Generale presso la Corte di Appello competente.

Oggi in Italia esistono ben 6000 persone che si sono pentite e loro familiari, sotto la tutela dello Stato.

 

 

 

 

 

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