Ed è proprio di una sirena alata il frammento ritrovato in un abitato pre-romano oggetto di scavi a Paestum. “Abbiamo già individuato una grande struttura in blocchi, uno spazio domestico con pozzo, ora ne stiamo approfondendo la funzione e l’estensione”, queste le parole del direttore Gabriel Zuchtriegel, che assolutamente in linea coi tempi si sta affidando anche ai social per aggiornare studiosi, curiosi e appassionati sui continui lavori in corso.
Particolare di un vaso della prima metà del VI secolo a.C., la Sirena alata si presenta meravigliosa e con vividi colori, richiamando le tre sirene dipinte sullo stamnos, o contenitore per liquidi, attico del V secolo a.C. conservato al British Museum. Qui, Ulisse è legato all’albero della nave, e si strugge per resistere al canto ammaliatore delle tre sorelle, metà donne e metà uccello. La scoperta è stata fatta dalle due archeologhe Elisa Biancifiori e Serena Guidone nell’area settentrionale di un’abitazione di epoca greca-lucana, come la celebre Tomba del tuffatore. Le studiose sono al secondo anno di ricerche e tutto fa presagire che i futuri ritrovamenti saranno di grande valore storico ed archeologico.
Dalle omeriche donne-uccello aggrappate agli scogli che ci presenta nel XII Canto dell’Odissea, alle bellissime ma non meno pericolose fanciulle ricreate dalla fantasia medievale; e neanche il sommo Vate seppe tenersene lontano e analogamente all’approdo che Ulisse ed i suoi compagni fecero sull’isola delle sirene reso possibile da “…un’improvvisa bonaccia, nel XIX canto del Purgatorio Dante, prima di incontrare la sirena, cade in un sonno profondo, come se fosse necessario allentare le difese per potersi abbandonare all’ignoto. Simbolo del potere coercitivo della poesia orale, il canto delle sirene è un canto sapienziale in cui si mescolano il passato e il presente, ciò che è accaduto e ciò che accade in ogni tempo e in ogni luogo; alla loro «voce di miele», a quel thélgein che è inganno, seduzione erotica, oblìo, paralisi delle facoltà e che tutto travolge come un fiume impetuoso, nessuno può resistere. Ascoltare la voce della conoscenza, tuttavia, può significare la morte: la landa fiorita su cui soggiornano le maliarde è disseminata di ossa e di corpi umani in putrefazione. Come aveva predetto Circe, «chiunque ignaro si accosti e ascolti la voce delle Sirene, / non più la moglie, né i dolci figli potranno godere del suo ritorno / standogli accanto»”. (Orfeo, Ulisse e le sirene: storia di una sconfitta di genere di Cristina Santarelli)
Ma una metamorfosi avviene nel Medievo, almeno a giudicare dai bestiari e così le sirene divengono “…fanciulle marine che ingannano i naviganti con il loro bellissimo aspetto ed allettandoli col canto; e dal capo e fino all’ombelico hanno il corpo di fanciulla e sono in tutto simili alla specie umana; ma hanno squamose code di pesce che celano sempre nei gorghi” (Liber Monstrorum, I,VI) Mediatrici tra il mondo dei vivi e quello dei morti, vengono raffigurate sui monumenti funerari ad evocare il richiamo della vita terrena, ed insieme a Leucosia e Ligea, la nostra genitrice, Partenope, che per amore si lasciò trasportare nelle acque del Mediterraneo giungendo all’isolotto di Megaride e qui, il suo corpo morto, fecondò le terre, da cui nacquero i partenopei o napoletani, amanti della bellezza e del bel canto.