Ci fu un tempo in cui Sperlonga era il luogo della storia e il Centro del mondo… oggi è un’oasi ambientale e di archeologia, ma da pochi conosciuta. Sarà stato il mare che la circondava considerato, tutt’oggi tra i più limpidi d’Italia, o forse per il territorio circostante perlopiù pianeggiante e con spiagge dorate o di sabbia bianca, che l’Imperatore Tiberio decise di far costruire la sua lussuosa villa estiva. L’imperatore Tiberio (42 a.C. – 37 d.C.) fu il primo della gens Giulio-Claudia e a lui va il merito di aver fatto costruire questa villa imponente, che inglobava anche un’ampia grotta, nella quale furono collocate pregevoli opere marmoriche che celebravano le gesta di Odisseo. In questa domus vi erano inoltre centri di produzione ittici, veri e proprie vasche per l’allevamento. Insomma Sperlonga divenne un centro florido che si autogestiva economicamente e che deliziava gli Ozi dei patrizi e dell’imperatore. Dopo la caduta dell’impero romano si hanno notizie direttamente del VI secolo in cui sappiamo che i ruderi della villa imperiale, come del resto altre importanti dimore vicine, andarono in rovina e vennero usate come rifugi per gli scontri e gli assalti pirateschi che nella zona stavano diventando sempre più frequenti. Durante il Medioevo i cittadini incominciarono a riorganizzarsi e si spostarono sullo sperone roccioso, intorno ad un castello, oggi chiamato promontorio di San Magno e dove c’è la nuova cittadina. Sulla città potremmo scrivere per ore la sua storia medioevale fino alla caduta borbonica, mentre della scoperta archeologica e il ritrovamento dobbiamo arrivare al 1957, grazie alla scoperta effettuata dal Prof. Giulio Iacopi. La Villa di Tiberio è localizzata su un’altura presso il Mar Tirreno, ai piedi di un massiccio sperone dove è posto il Museo Archeologico Nazionale di Sperlonga. La villa si sviluppava per oltre 300 metri di lunghezza ed era costituita da diversi edifici disposti su terrazze rivolte verso il mare. Le prime strutture sono relative ad una villa di epoca tardo-repubblicana, forse appartenuta a Aufidio Lurco, nonno materno di Livia, moglie di Ottaviano Cesare Augusto. La villa conserva una serie di ambienti intorno ad un cortile porticato, tra i quali sono compresi ambienti di servizio, più volte ristrutturati, una fornace e un forno per la cottura del pane. Agli inizi del I secolo d.C. venne aggiunto un lungo portico a due navate che collega alla grotta naturale che sorgeva presso la villa, che fu inquadrata all’ingresso di un prospetto architettonico. La Grande Grotta Naturale venne parzialmente trasformata con interventi in muratura e la collocazione di sculture ed accoglieva il triclinio imperiale con una piscina interna, collegata ad altre all’esterno, le quali erano adibite ad allevamenti ittici pregiati. Questo era il luogo preferito dell’imperatore che amava passarci molto tempo, infatti era riccamente decorato con marmi pregiati e mosaici ed era arredato con una serie di gruppi scultorei monumentali. Queste opere erano dedicate alle imprese di Odisseo od anche Ulisse, e buona parte dei gruppi scultorei oggi sono esposti e conservati nel Museo. Come precedentemente detto, la grotta comprende una vasta cavità principale, preceduta da una ampia vasca rettangolare con funzione di peschiera ad acqua marina, al cui centro era stata realizzata un’isola artificiale che ospitava la caenatio, una sala da pranzo estiva. La vasca comunicava con una piscina circolare, dal diametro di 12 m, posta all’interno della grotta, dove era stato collocato il gruppo scultore della scena di Scilla che assale la nave. Sulla cavità principale si aprivano due ambienti minori: a sinistra un ambiente a ferro di cavallo, con in fondo un triclinio, e a destra un ninfeo con cascatelle e giochi d’acqua. In fondo alla grotta si apriva una nicchia che ospitava il gruppo più grande dell’accecamento di Polifemo. Tra la piscina circolare e la vasca quadrata erano collocati altri due gruppi scultorei più piccoli: il Rapimento del Palladio e il gruppo di Ulisse che trascina il corpo di Achille. Di quest’ultimo la copia, mutila e frammentaria, è l’attuale statua del Pasquino a Roma. Infine una scultura con Ganimede rapito dall’aquila di Zeus era invece posta in alto sopra l’apertura della grotta. Come possiamo immaginare e come possiamo ammirare oggi nell’area archeologica e nel museo, una delizia degli occhi e del cuore. Fu in questo antro che avvenne probabilmente l’episodio narrato da Svetonio e da Tacito, quando nel 26 d.C. Luco Elio Seiano, amico e confidente di Tiberio, salvò la vita all’imperatore, proteggendolo con il suo corpo, durante un crollo di alcune rocce mentre si allietavano ad un banchetto, tragedia che porto alla morte di alcuni servi. Secondo alcuni fu questo episodio che indusse Tiberio a traslocare e a scegliere l’isola di Capri per passare gli ultimi anni del suo regno.
Perché questa volontà di ricostruire nei gruppi marmorei le vicende di Odisseo?
Fin dall’età romana si credeva infatti che il grande promontorio a nord fosse l’isola della maga Circe: qui, tenendo sempre fede alla narrazione omerica, il re di Itaca risiedette per oltre un anno prima di rinsavire, liberare i compagni e riprendere il viaggio verso casa. Il mito di Ulisse, già figurato su alcuni vasi greci del principio del VII secolo a.C., era divenuto particolarmente popolare in età ellenistica e romana. I tratti fondamentali del suo carattere racchiudevano la qualità dal fascino straordinario, come l’intelligenza e l’astuzia, lo spirito di avventura e l’attrazione irresistibile verso l’ignoto. Esse avevano peraltro rappresentato le linee guida anche per l’Eneide di Virgilio, scritta quando Tiberio era giovane. Nulla perciò di strano che anche l’imperatore fosse rimasto avvinto dal sito. Il sito odierno raccoglie dunque non uno, ma due testimoni, l’uno di Ulisse, l’altro di Tiberio. Ciò che era stata una piccola fondazione greca trasformata, forse da Circe, come il luogo di ozi e delizie di Tiberio, tra calette e sabbia dorata, tra pirati e papi medioevali corrotti, è oggi una città da riscoprire, passeggiando tra ameni luoghi e archeologia romana.