In questi giorni di giugno, ricade l’anniversario della dipartita ventennale di uno dei “quattro colonnelli della commedia all’italiana”, insieme al mattatore Vittorio Gassman, allo straripante Alberto Sordi e al ruspante Ugo Tognazzi: Nino Manfredi.
Solo ora, si può analizzare e apprezzare con efficace lucidità il suo stile, la sua professionalità e il suo talento creativo, in ambiti differenti come il teatro, il cinema e la televisione, dove primeggiava la sua versatilità. A testimoniarla, le regie per i film “Per Grazia Ricevuta” del 1971 e il crepuscolare “Nudo di donna” del 1981; anche se studiò alla facoltà di giurisprudenza ottenendo la laurea nel 1945, scelse poi di diplomarsi presso l’Accademia d’arte drammatica due anni dopo, debuttando sotto la guida di Orazio Costa all’interno della compagnia Gassman-Maltagliati. Dopo una gavetta teatrale con Strehler e Eduardo, nel 1955 sviluppa una propria definizione attoriale con registi come Antonio Pietrangeli e Mauro Bolognini, trovando il primo successo con “Rugantino” del 1962, a firma Garinei & Giovannini.
Da quel momento, prese parte a film che lo hanno reso un attore con la A maiuscola, come “L’Audace Colpo dei Soliti Ignoti” di Nanni Loy / “La Parmigiana” di Antonio Pietrangeli / “Operazione San Gennaro” di Dino Risi / “Nell’anno del Signore” di Luigi Magni. Nel decennio successivo, riesce a lasciare la sua impronta nella storia del cinema italiano grazie a “Girolimoni” (1972) / “Pane e Cioccolata” & “C’eravamo Tanto Amati” (1973) / “Brutti Sporchi e Cattivi” (1976) / “In nome del Papa Re” (1977), suggellandola con l’interpretazione dell’indimenticabile Geppetto Nella serie “Pinocchio” di Luigi Comencini.
Negli anni ’80, passa alla televisione con una serie ancora oggi ricordata con affetto – “Linda e Il Brigadiere” – e l’ultima sua collaborazione televisiva diretta dal figlio Luca -“Un Posto Tranquillo” – come pure il suo congedo cinematografico ad opera di Miguel Hermoso nel ruolo dello smemorato di “La Fine di Un Mistero“, dimostrando fino all’ultimo la sua romanità universale, cinica nell’apparenza ed appassionatamente segreta.