Agrippina, nipote e moglie di Claudio, madre di Nerone, fu sicuramente una donna di grande esperienza politica e molto acculturata, probabilmente la vera artefice di tutte le decisioni più importanti del figlio, tanto da offuscarne la sua immagine di imperatore.
Da qui la decisione di Nerone di sbarazzarsi della madre. Tutto iniziò quando Agrippina tornò ad Anzio dopo aver partecipato ad una festa a Baya in onore di Minerva. La trappola mortale era stata ideata dallo stesso Nerone: la nave a bordo della quale avrebbe dovuto viaggiare Agrippina era fornita di uno speciale congegno, per cui, una volta raggiunto il largo, una parte di essa si sarebbe squarciata causando la rovina del tetto sulla tolda. Così avvenne: in quella occasione il tetto della cabina, appesantito da molto piombo, crollò travolgendo anche vari marinai completamente ignari dell’insidia messa in atto. La nave si inclinò su un fianco e Agrippina cadde a mare con una ancella, la fedele Acerronia.
Quest’ultima si aggrappò alla sponda della nave e si spacciò a gran voce per Agrippina. Ciò le costò la vita: i marinai di Nerone la massacrarono a colpi di remo. Furbamente Agrippina, che aveva osservato la scena, ferita ad una spalla, si allontanò a nuoto e fu condotta da alcuni pescatori nella villa di Quinto Ortensio Ortalo, che si trovava sulle sponde del lago di Lucrino. Ma, secondo lo storico Tacito, i sicari di Nerone raggiunsero la villa in poco tempo e circondarono il letto ove dormiva Agrippina.
Un centurione Erculeio la colpì alla testa con una mazza e brandì il pugnale per finirla. Agrippina, in tono di sfida, protese il ventre verso il centurione, chiedendo di essere colpita al ventre. Morì così trafitta da numerosi colpi di pugnale. La data dell’omicidio rimarrà scolpita nella storia dei matricidi: era il 23 marzo del 59 D.C. La figura di Nerone, colpevole dell’ atroce delitto, viene ricordata persino nell’Apocalisse di Giovanni e associata al Maligno.
Circa nove anni dopo, secondo lo storico Svetonio, Nerone venne a sapere che il Senato lo aveva deposto e decise, abbandonato da tutti, di togliersi la vita. Una volta fuggito dal palazzo reale per mancanza di protezione, con l’aiuto di un servo, di nome Ermafrodito, si pugnalò alla gola.
Il suo corpo fu poi cremato; come previsto da una antica usanza romana, al suo nome fu applicata la “damnatio memoriae”. Per questo ancora oggi questo imperatore non è stato riabilitato, anche se non manca qualche storico che cerca di raccogliere su di lui altri elementi che sconfesserebbero questa visione negativa che si trascina da duemila anni.