In una delle più ridenti zone archeologiche, nascosta tra Ercolano e Pompei, la città di Tore Annunziata custodisce una villa imperiale dove otium e delizie artistiche hanno e tutt’ora allietano turisti in cerca di rarità nel mondo antico.
Oplontis era una zona suburbana della vicina Pompei, l’attuale Torre Annunziata e fu sepolta dalla cenere dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. . Torre Annunziata nacque da un nuovo nucleo che si sviluppò intorno a una cappella medievale dedicata alla Madona nel 1319, venendo munito a metà secolo XIV da Ugo d’Alagno di una torre omonima a difesa della costa. Dell’antica città si hanno delle notizie molto frammentarie e il suo nome compare per la prima volta durante il medioevo nella Tabula Peutingeriana. Una copia del XII-XIII secolo di un’antica carta romana che mostra le vie militari dell’Impero romano.
Qui Oplontis viene indicata a 6 miglia da Ercolano e a 3 da Pompei e Stabiae, e secondo le indicazioni della mappa più che una vera e propria città, si tratterebbe di un insediamento suburbano della vicina Pompei dove erano presenti alcune ville di villeggiatura, diverse fattorie, saline e complessi termali, vista la ricchezza di acque della zona: infatti sulla Tabula la località è rappresentata con il simbolo di solito utilizzato per i luoghi termali, tesi attestata anche da resti di edifici adibiti a tale funzione. Sulle origini del nome sono state fatte diverse ipotesi: potrebbe derivare dal latino “opulentia” (luogo opulento), “opla” (luogo di pescatori), “populus” (pioppeto ove si lega la vite a spalliera) oppure dal greco “oplon” (luogo di sosta degli opliti, guerrieri dalle lunghe lance), “apopolotes” (città distrutta). Infine, si ipotizza un errore del cartografo nella trascrizione, per la locuzione latina “ob fontis” (fonte, luogo termale) essendo presenti in zona. Nel XVIII secolo, sotto l’influsso dei ritrovamenti archeologici di Pompei, Ercolano e Stabiae, anche ad Oplontis vennero avviate delle campagne di scavo con Francesco La Vega ben presto sospese sia per la mancanza di fondi, sia per l’aria nefasta dove questi si svolgevano, ossia in una zona paludosa nei pressi del fiume Sarno. Nel 1839 vennero effettuati altri scavi che riportarono alla luce il peristilio del quartiere servile della Villa A, oltre ad una fontana, ma per mancanza di fondi l’opera di scavo venne sospesa di nuovo nel 1840. Dal 1964 sono iniziati gli scavi di una villa d’otium denominata A e poi di Poppea. Durante i lavori per lo scavo delle fondamenta di una scuola, nel 1974, venne alla luce un nuovo edificio, un’altra villa denominata B ma rustica poi di Lucio Crasso Tertius.
La villa di Poppea, è una villa d’otium dove comunque non mancavano sale dedicate alla produzione del vino e dell’olio. La villa, risalente al I secolo a.C. ed ampliata nel corso dell’età claudia, viene attribuita a Poppea Sabina sulla base del rinvenimento di un graffito parietale menzionante Beryllos, personaggio della corte neroniana e dalla presenza del nome del servo di Poppea, Secundus, su un’anfora vinaria e su un piatto. Inoltre la ricchezza, la sontuosità delle decorazioni e delle sculture la rendono assimilabile alle case pompeiane del Menandro e degli Amorini dorati che appartenevano alla gens Poppaea. Al momento dell’eruzione del Vesuvio la villa era disabitata, forse in fase di restauro a causa del terremoto di Pompei del 62 d.C. e tutti gli oggetti sono stati ritrovati accantonati in alcune stanze. Ad oggi la costruzione non è ancora interamente scavata: l’area riportata alla luce corrisponde alla zona orientale, mentre l’ingresso principale e la zona occidentale sono ancora da recuperare.
Una villa che risplende nella cittadina campana e che custodisce affreschi di straordinario interesse sia storico che artistico, unici al mondo, che accompagnano in un viaggio senza tempo e che porta indietro nelle faste stanze dell’Otium di Poppea.