Prosegue la nostra rubrica di articolo-intervista su alcuni giovani napoletani già affermati o che si stanno facendo conoscere al grande pubblico con la loro Arte e Passione. L’intento è di raccontare l’esperienza di costoro, che rappresentano la faccia buona e pulita della Napoli che tanto amiamo.
Come scriveva Harry Allen Overstreet: “Ho i miei dolori, amori, piaceri particolari; e tu hai i tuoi. Ma dolore, gioia, desiderio, speranza, amore, appartengono a tutti noi, in ogni tempo e in ogni luogo. La musica è l’unico mezzo con cui sentiamo queste emozioni nella loro universalità”.
Ecco che possiamo raccontare la nostra città attraverso gli occhi di giovani artisti e delle loro esperienze su come si muove oggi un ragazzo in questo mondo tanto difficile e materialista.
L’intervistato è un cantante pop e rap, il suo nome è Gian Paolo Nicolini, in arte CIOMPI, un ventiduenne che vive tra Napoli ed Edimburgo, una forza della natura, positivo fino al midollo. La somiglianza nell’aspetto a Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti, sembra celarci il vero Gian Paolo, ma ascoltandolo mentre parla di Napoli e della sua musica, l’inflessione non è fiorentina, tutt’altro, soffia aria salata di golfo partenopeo e polvere di tufo.
Gian Paolo Nicolini in arte Ciompi, da dove nasce questo appellativo e perché?
Fin da ragazzino mi chiamavano Giampi, diminutivo di Gian Paolo ed un giorno un mio carissimo amico, che era raffreddatissimo, non riusciva a dirlo e pronunciò Giompi. Seppur strano e storpiato divenne ilarità tra molti di noi e così nacque Ciompi. Da quel momento io stesso iniziai a fare molti giochi di parole con questo nomignolo, sia perché mi piacque da subito, sia perché da sempre ho improvvisato su situazioni e parole come passatempo. Di fondo però c’è un’attenta organizzazione e precisione che mi contraddistingue nella vita e nello studio. Quindi anche nella musica, scegliere quel nome significava giocare e riorganizzare me stesso. Usare Ciompi è diventato un po’ un’idea, un obiettivo, il ‘ciompiano’ da attuare, che ben si prestava ad essere trastullato nelle canzoni che parlano del mio vissuto. Esso nasconde molto di me e può essere la chiave con cui scoprire molto della mia personalità.
Cosa percepisce un ragazzo napoletano dalla quotidianità di Napoli e come lo utilizza per diventare rapper o per farlo rientrare nel mondo rapper?
Secondo me a Napoli i ragazzi hanno una carica in più, è ciò ci viene riconosciuto anche all’estero. È una scelta, come le strade che una persona vuole percorrere nella vita. Sicuramente influisce l’educazione che viene impartita dai genitori e se hai un’idea di percorso e se te ne vengono date le possibilità, tutto è molto più semplice. Io devo tutto ciò ai miei genitori, cioè di poter fare quello che mi piace parallelamente allo studio. Ho potuto quindi seguire la mia idea, che da sempre è stata di cantare. I ragazzi possono scegliere quello che vogliono, ciò che vogliono essere e fare, qualsiasi sia essa la forma artistica; l’importante è raccontare ciò che vivono, per risultare reali. Questa è la mia idea principale. Infatti i temi che canto sono: amore, odio, amicizia, perché sono quelli che credo di aver vissuto fino ad ora e che posso raccontare e trasmettere. Certamente non potrò mai narrare di storie di ragazzi in carcere o di gang, perché effettivamente non le ho vissute. Inoltre sono sicuro che non trasmetterebbero nulla a chi mi ascolta, non coinvolgerebbe nessuna emozione, perché non veritiere.
Hai parlato nei tuoi testi, ad esempio in “Come il vento”, dell’amore e non solo: dell’amore non tanto per una donna ma per la tua musica. Un giovane come coniuga la propria passione musicale con la vita sentimentale?
È un argomento molto importante, in cinque anni ho avuto due ragazze nella mia vita. La prima non voleva che io facessi musica e né che io andassi a fare serate; pretendeva che privilegiassi solo lo studio, e così capii che a lei non piaceva il mondo musicale in generale. Con la seconda, a cui ho dedicato la canzone “Come il vento”, è stato più semplice, forse perché anche lei aveva una passione, ovvero la danza, e quindi è riuscita a comprendere cosa significasse per me la musica. Ma anche in questo caso la musica avuto il sopravvento. (sorride imbarazzato)
Infatti nel testo tu canti “la mia passione è come la tua e possiamo raggiungere insieme l’amore per la propria città”. Usi e privilegi la lingua italiana, mentre si avverte nella melodia quel background (forse di formazione) con i sapori alla James Senese, di Pino Daniele: quanto ti dà la città di Napoli e quanto tu dai alla città di Napoli?
Quanto mi dà la città di Napoli è sia la domanda che la risposta stessa, perché essa non è solo nel mio cuore, ma è soprattutto nell’anima. Senza, sarei completamente un’altra persona (i suoi occhi si illuminano). Cerco sempre di trasmettere nelle sonorità e nelle melodie quel cloud (come si usa in gergo), quelle parole con le consonanti e le forme di dialetto che provo poi a trasformare anche in italiano, per creare una condizione di familiarità e che proviene dalle mie radici. Spero in questo modo che un giorno possa aiutare questa città.
Oggi, che vivi all’estero per le tue esperienze lavorative e professionali, cosa ti manca della città e cosa potresti prendere ‘dall’altro mondo’ e portare, semmai attraverso la musica, a Napoli?
Una delle cose che mi manca e che racconto ogni volta che ritorno, sono gli odori ed i suoni. Da sempre io assimilo tutto come musical, siano essi i suoni di strada o i rumori. Le persone che parlano ad alta voce sono per me melodia e molto spesso cerco di formulare canzoni in base alle ‘melodie di strada’. Anche il rumore di un trapano o di un mercato vengono rielaborati, così gli odori, che diventano uno spettacolo dei sensi. Questo è ciò che mi manca rispetto ai luoghi che vivo attualmente. Mentre a Napoli porterei la ‘consapevolezza’ che ognuno può fare qualcosa per la propria città. A Napoli manca questa idea. Ognuno ha l’idea che fare qualcosa per la propria città o per qualcuno serva a poco, perché un solo gesto non serve. All’estero contrariamente si vive con la consapevolezza di fare nel modo giusto perché va a beneficio della comunità, quindi anche la più semplice cosa, come non gettare la carta a terra, per Napoli sarebbe una vittoria. Nonostante ciò, abbiamo questa apertura alla Comunità, di aiutare quando c’è bisogno, ne è un esempio lo stesso ‘caffè sospeso’, che si può leggere come un sussidio a colui che non lo può prendere al bar. Quindi c’è quest’idea, o meglio c’è stata, e su cui si dovrebbe puntare.
Il mondo rap è da sempre sinonimo di violenza, dell’uso delle parolacce, di rabbia repressa. Anche se negli ultimi tempi sta cambiando per alcuni artisti, resta comunque questa idea di base. Nei tuoi testi usi e osi poco gli improperi, semmai quelli ormai dello slang quotidiano: è una scelta perché legato a un perbenismo di cultura personale o perché oggi è di moda?
Ho sempre cercato nella vita di differenziarmi dagli altri e quindi far sì che tutti possano notare e dire quel ragazzo sembra diverso (rimarca la parola sembra, ripetendola), ma sembra diverso. Visto che negli ultimi anni la musica pop e rap sta diventando un mainstream (commerciale), io non necessito per quello che voglio raccontare e per quello che ho vissuto, dell’uso di termini pesanti o di trattare argomenti gravi, come la maggior parte dei colleghi (se così posso definirmi). Può esistere una musica rap diversa, con melodia e con testi che trattano d’amore e non solo di rabbia repressa; la musica può raccogliere qualsiasi messaggio con qualsiasi obiettivo ed avere qualsiasi impatto.
Un’altra caratteristica che ti appartiene è quella, a differenza di altri cantanti pop e di rap, di parlare poco ma di cantare.
È un argomento molto discusso nel mondo del pop e del rap da diversi anni, soprattutto dopo l’uscita del programma Itunes, che permette a tutte le persone di poter essere intonate e cantare, quindi anche una persona completamente stonata può cantare. Io non mi ritengo un cantante, perché non ho le basi, per poterlo fare dovrei studiare, e non avendo potuto farlo mi auguro un giorno di imparare. Nasce tutto naturalmente: prima scrivo il testo e poi trovo la musica adatta. L’adattamento della musica sulle parole del testo stranamente sono perfette, è una sintonia che non saprei spiegare.
Chi sono i tuoi miti dal punto di vista musicale e chi ritieni oggi nella canzone italiana ed internazionale soprattutto nel rap e nel pop che possa portare a un nuovo percorso ed a un nuovo discorso culturale?
Questa è una domanda interessante, perché mi sono sempre rifatto ad artisti che non sono mai stati definiti musicisti del pop. Ad esempio Jovanotti, che quando fa il pop viene ritenuto bravissimo perché eccelle con i giochi di parole, ma quando tratta d’amore è molto diverso e non sempre piace. Eppure è l’artista che io seguo, perché si diverte facendo quello che gli piace (e si sente). L’altro artista è Fiorello, nato come animatore (ed anch’io ho iniziato così) che si diverte in tutto quello che fa. Pochi mesi fa, infatti, è uscita una sua cover “Fatti mandare dalla mamma” versione rap hip hop, e si sente che si sta divertendo mentre la canta. Questo spero (e voglio) diventi il mio obiettivo, divertirmi facendo ciò che mi piace e spero possa durare per sempre.
Quali sono i tuoi progetti attuali?
I progetti attuali sono legati all’etichetta discografica la PM Records di Cava de’ Tirreni con la quale ho firmato il contratto per due anni e con cui sono in uscita con il nuovo disco. Tutto ciò grazie ad un amico e collega che mi stava ascoltando in auto e così i produttori si sono interessati e mi hanno contattato. Ho firmato felicemente perché mi è stata data carta bianca, cioè posso cantare di ciò che mi piace. Non di droga, di delinquenza, di rabbia, ma appunto di divertimento, amore, amicizia e soprattutto, credo (e strizza l’occhio con un sorriso beffardo) che siano diventati anche loro dei fan, perché sono entusiasti di ogni pezzo che propongo e attendono con gioia il nuovo. Questo ovviamente mi stimola. Presto presenteremo “La mia identità”, probabilmente nel 2018 e ci stiamo preparando per una hit estiva.
Questa domanda è doverosa vista l’attualità, poiché hai scritto di guerra e cicatrici, ci rifacciamo alla Siria. Cosa pensa un ragazzo napoletano ed un cantante su ciò che accade intorno a noi?
Citando a mia volta una frase di Einstein: “ci sarà una terza guerra mondiale con le bombe nucleari e la quarta sarà quella con le clave”, perché ci sarà una distruzione del pianeta che ci porterà alla devastazione e così non avremo più nulla, torneremo indietro. Credo che ogni guerra lasci una cicatrice, anche per chi fortunatamente riesce a sopravvivere e il passato ne è un esempio. Molto spesso per costoro il suicidio è stata la soluzione proprio perché le cicatrici interne sono indelebili. Oggi gli smartphone ti informano velocemente e simultaneamente dell’accaduto ma tiene acceso quel senso di ansia, la percezione che possa succedere qualcosa improvvisamente è sempre presente, quindi viviamo una situazione di paura, siamo sempre in allerta. In parte ti dà una carica per reagire ed essere informato e quindi ogni cosa dovrebbe essere vissuta in pieno e cogliendo l’attimo in ogni momento, mentre l’altra faccia della medaglia è questo vivere costante con la paura e la tensione.
Concludendo questa intervista si parla tanto di crescita e cambiamento, per te sia nella voce che nel corpo, come le note che usi o gli eventi che per te diventano musica. Scegli un aggettivo che ti rappresenta e da quell’aggettivo descriviti.
AFFAMATO (i suoi occhi sono accesi di gioia e spalanca il sorriso) e non faccio riferimento all’aspetto economico, ma affamato di voglia di intraprendere qualcosa, di mettermi alla prova e quindi di prendere ed apprendere più emozioni dalla giornata e di farle mie. Dai rumori alle melodie, dai suoni agli odori, così da catturarli insieme alle parole nuove e riusarle, in un termine latino (e ride), un ‘miscuglio’ di generi musicali che sono la mia passione da sempre. Questi saranno alla base delle mie prossime canzoni e che finora non ho avuto ancora modo di far sentire, e che credo non siano mai state fatte.
Da adesso a 10 anni come ti vedi?
Non ho un obiettivo preciso da raggiungere, però sicuramente sarà quello di migliorarmi sempre, in ogni campo, di apprendere sempre, ma sono sicuro che sarà come oggi: ovvero, essere soddisfatto di quello che ho fatto fino adesso. Sono sicuro che riuscirò a restare nel campo della musica e di arrivare a molti altri che mi seguiranno, ma soprattutto di riuscire a trasmettere le emozioni che provo nella mia vita.