22 luglio 2001: alle ore 17,30 nella clinica Madonnina di Milano, si spegneva Indro Montanelli, da molti considerato “il decano del giornalismo italiano”; uno tra coloro che definivano la propria vita professionale come la loro esistenza civile, essendo essa in simbiosi con la loro anima. Ancora oggi, il suo ricordo, a circa vent’anni dalla sua morte, riesce a suscitare ancora tanta intensa partecipazione, non soltanto in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo più da vicino, ma anche nei tanti che sono stati in grado di apprezzarne le qualità di cronista, di narratore, di divulgatore storico, di polemista incapace di rinunciare ai toni forti anche a rischio di disorientare i suoi lettori.
Il giornalismo di Montanelli, nel bene e nel male, ha attraversato gran parte del Novecento, da quando ebbe inizio la sua attività durante il regime fascista come inviato di guerra, distinguendosi in quegli anni per la totale completezza del suo lavoro, e sottraendosi, per quanto possibile, alle strette maglie della propaganda, tanto da diventare critico verso il fascismo e, per questo motivo, imprigionato a Milano nell’ultimo periodo della Seconda guerra mondiale, fino all’evasione dal carcere e la fuga in Svizzera, dove rimase fino alla fine del conflitto.
Con la Repubblica si intensificò il suo impegno di giornalista e di scrittore, sia come una delle firme più prestigiose del Corriere della Sera, sia come fondatore prima de il Giornale e poi della Voce, attraverso la scelta di strade sempre nuove ogni volta che le vide, o quando temette invasioni di campo o limitazioni del proprio spazio autonomo; per questo motivo le Brigate Rosse lo scelsero come obiettivo, portando all’agguato che causò il suo ferimento, considerato da molti un crimine contro la stessa libertà dell’informazione. Ha sempre rifiutato, con grande cocciutaggine qualsiasi tentativo di omologazione, rivendicandolo al suo carattere di toscano e di intellettuale dalle inesauribili energie, oltre che di maestro di scrittura e giornalista intransigente nella difesa della propria autonomia professionale, rimanendo per decenni, una delle personalità di rilievo nella cultura italiana nel dibattito pubblico.
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