“C’è una mafia che porta via i calciatori africani per naturalizzarli per le nazionali europee. E molte volte il bisogno obbliga questi giovani giocatori a fare una scelta del genere”. Questa frase, pronunciata dall’ex “Pipe de Oro” Diego Armando Maradona nel corso della trasmissione “La Mano del Diez” dell’emittente del Venezuela Telesur, sembra riassumere la personalità di colui che la Città di Napoli ha eletto suo “figlio adottivo”; un uomo che, dal suo ritiro sportivo nel 1997 ha vissuto varie disavventure personali e giudiziarie, di cui abbiamo sentito parlare di più che per le sue imprese “post-calcio” (di cui vale la pena segnalare la nomina a CT della squadra dell’Argentina nel 2008, che riuscì a far qualificare nei Mondiali del 2010).

Durante una carriera di circa vent’anni (nella quale ha giocato con squadre come l’Argentinos Juniors – Boca Juniors – Barcellona – Siviglia – Newell’s Old Boys – Napoli) e ancora oggi ricordato come la “Mano de Dios” (per la rete segnata durante i quarti di finale nei Mondiali del 1986, ai danni dell’Inghilterra) Diego Armando Maradona ha dimostrato di saper essere un centrocampista e un capitano meritevole dell’attenzione e dell’affetto del popolo partenopeo.

I problemi cominciano ad emergere con la fine della sua carriera di calciatore, e sono: l’utilizzo di cocaina (dal cui uso è riuscito a liberarsi a fatica), i problemi di peso (che lo hanno portato a rischiare l’infarto, anche a causa dell’abuso smodato di alcool e sigari cubani) e le tanti “avventure galanti” con donne diverse “dall’amore della sua vita”, Claudia Villafañe (che ha divorziato da lui nel 2004), la più importante delle quali ha portato alla nascita di suo figlio Diego Sinagra (da lui riconosciuto legalmente solo nel 2007, dopo anni di “guerriglia legale”).

Un tempo i tifosi napoletani cantavano “Maradona è meglio e Pelee…”

Forse oggi è possibile fare un paragone obiettivo tra i due

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