Franco Basaglia: uno dei “padri” della moderna psichiatria, l’uomo che ha abbattuto la vecchia concezione di “cura psichiatrica”, basata unicamente sulla completa e totale disumanizzazione del paziente, un malato pericoloso che deve essere nascosto agli occhi di tutti e dimenticato come se non fosse mai esistito, dando vita a un nuovo tipo trattamento e di cura dei disturbi mentali, interamente basato sul concetto di rispetto della persona. La sua più grande vittoria è la legge che prende il suo nome, e che permise di mettere fine all’esistenza delle istituzioni manicomiali, capaci unicamente di utilizzare elettroshock, lobotomie, docce gelate, camicie di forza e letti di contenzione, in una logica di ambito sociale volta, come fine ultimo e supremo, all’annientamento dell’altro, per il bene delle persone “sane”.
Purtroppo, per via di un sistema sociale fin troppo radicato e difficile da modificare concretamente, la sua “rivoluzione” non è mai riuscita a funzionare, nonostante l’istituzione, negli ospedali, di reparti di Psichiatria, e la creazione di strutture e personale formate e abilitate alle cure ed al trattamento dei pazienti psichiatrici, lasciando, spesso, i malati in balia di loro stessi e i loro familiari soli a gestire il tutto.
Ma cosa lo spinse a considerare la chiusura dei centri manicomiali come unica soluzione al problema? Durante il fascismo, i manicomi furono ampliamente utilizzati per rinchiudere coloro che non potevano essere “semplicemente” mandati in prigione. Il caso più “emblematico” è quello di Giuseppe Dosi, che riuscì a dimostrare l’estraneità di Gino Girolimoni dall’accusa di essere “Il Mostro di Roma”, finendo per essere rinchiuso in un in manicomio criminale per diciassette mesi, dal quale fu liberato solo nel 1940, e reintegrato nella polizia solo dopo la sua caduta, e tutti gli “indesiderati” per le loro idee o azioni.
Se, dopo la caduta del regime, le strutture manicomiali fossero state “riportate” al loro “status regolare” di luoghi di cura, evitando le “pratiche” che erano ormai la norma, forse Basaglia si sarebbe unicamente battuto affinché fossero “riformati” per garantire a chi vi veniva ricoverato l’aiuto necessario per vivere una vita più “normale”, invece di ritrovarsi in un moderno lager che definire “l’anticamera dell’inferno” sarebbe riduttivo. A tanti anni dall’emanazione della legge 180 del 13 maggio 1978, bisogna domandarsi se esistesse una soluzione diversa dalla chiusura dei centri di igiene mentale, e se non fosse stato possibile usarli per aiutare chi necessitava di aiuto professionale specializzato.
Fonte foto: mimesis-scenari.it