Nell’ospedale dell’Aquila, pochi giorni fa, è deceduto all’età di sessantadue anni il boss Matteo Messina Denaro, da molto definito “l’ultimo stragista di Cosa Nostra”. A permetterne l’arresto, dopo trent’anni di latitanza, un tumore al colon diagnosticato mentre era ancora ricercato, alla fine dell’anno 2020, e che ha portato i carabinieri del Ros e la Procura di Palermo sulle sue tracce, mentre cercava di curarsi. Ora, la procura ha disposto l’autopsia per determinare con estrema efficacia le cause del decesso, dopo che gli era stata effettuata prima la terapia del dolore e poi la sedazione, dopo il rifiuto di ricorrere all’accanimento terapeutico.

Diventato l’ultima “primula rossa” di Cosa Nostra dopo la cattura di Totò Riina nel 1993, da allora ha dovuto assistere, impotente, alla distruzione del suo impero miliardario, smontato e sequestrato pezzo per pezzo dalle autorità. Poco alla volta, la sua catena di protezione e di finanziamento ha finito per essere smantellata, mentre il mito di “padrino fantasma” che gli era stato cucito addosso si dissolveva nella polvere sotto mandati di cattura e condanne all’ergastolo per associazione mafiosa, omicidi, attentati, detenzione e trasporto di esplosivo. Tra le sue colpe, le stragi del ’92 in cui persero la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

FONTEansa.it
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