È necessario definire in cosa consista la pressione tributaria.

Il rapporto fra l’ammontare della spesa pubblica, o dei tributi riscossi, e l’ammontare del reddito nazionale fornisce la misura di quella che è indicata come pressione tributaria. Poi, per conoscere il peso che, nella media generale, ogni abitante sopporta in termini di tributi, ossia la pressione tributaria, basta dividere la somma dei tributi prelevati per il reddito complessivo. Per pressione tributaria media pro-capite si intende il carico di tributi che in media sostiene ogni anno il cittadino.

E ora veniamo alle varie considerazioni giornalistiche e/o politiche tese ad accreditare una determinata pressione tributaria in Italia, superiore ad una soglia accettabile. Al di là di importi pubblicati su tutte le testate giornalistiche o in convegni politici, è certo che, stante l’obbligo di pagamento dell’ultimo ritrovato della scienza tributaria (IMU), e considerate le varie maggiorazioni operanti per tutte le tasse o imposte, dirette e indirette, non ci vuole “Pico della Mirandola” per comprendere che la pressione tributaria in Italia è oltremodo aumentata e ha toccato punte eccessive, cui effettivamente non corrisponde di fatto alcuno sviluppo economico né bagliori di miglioramenti nel settore della disoccupazione. Il Paese è in una posizione di stallo. Ciò, a sommesso parere del sottoscritto, non ha altro significato, se non quello di evidenziare che in periodi recessivi sarebbe alquanto improbabile un miglioramento del sistema economico, facendo leva quasi esclusivamente sull’imposizione tributaria, ormai alle stelle. Al contrario, sarebbe auspicabile una certa detassazione, specialmente per le attività produttive, al fine di liberare un flusso di ricchezza destinata ai consumi.

Ai posteri “l’ardua sentenza”.

 

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