Matilde Serao ne “Leggende Napoletane” scriveva: «Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito; non cade, non cadrà, poiché la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie, poiché l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie, mette l’arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle alghe. Di notte il palazzo diventa nero, intensamente nero; si serena il cielo sul suo capo, rifulgono le alte e bellissime stelle, fosforeggia il mare di Posillipo, dalle ville perdute nei boschetti escono canti malinconici d’amore e le malinconiche note del mandolino: il palazzo rimane cupo e sotto le sue volte fragoreggia l’onda marina…»

Si sta descrivendo uno dei palazzi più discussi e conosciuti a Napoli, il quale ispira ancora oggi leggende su questioni incompiute. Palazzo Donn’Anna a Posillipo è l’emblema della leggenda e della tragedia partenopea…

Costruito nel pieno ‘600 per volontà della consorte del Viceré di Napoli Ramiro Núñez de Guzmán, duca di Medina de las Torres, Anna Carafa, è appollaiato sulla costa di Posillipo, sopra la prima grande curva. Nel 1642 Cosimo Fanzago ne approntò un disegno secondo i canoni del barocco napoletano che prevedesse tra le altre cose anche la realizzazione di un doppio punto d’ingresso, uno sul mare ed uno da una via carrozzabile. Venne demolita la costruzione preesistente cinquecentesca, l’allora villa Bonifacio, ma non venne finito. L’architetto non riuscì a completare la struttura per la prematura morte di donn’Anna, avvenuta in un contesto di insurrezione popolare a causa della temporanea caduta del viceregno spagnolo, con la conseguente fuga del marito della stessa verso Madrid nel 1648.

Questo aspetto semidiroccato e non terminato gli regalò il fascino di un’antica rovina, tanto da farlo passare come una villa romana del litorale posillipino, che ne è già ricco tra resti classici e anfratti naturali. Al su interno, particolare è il Teatro che è aperto sul mare e che sfrutta il golfo come scenografia. Dobbiamo ricordare che l’edificio subì danni con la rivolta di Masaniello del 1647 e durante il terremoto del 1688.

Anna Carafa

E se il palazzo è ricordato, con confusione, per il palazzo della Regina Giovanna e per i suoi tanti amanti uccisi (ricordiamo che il palazzo non esisteva all’epoca quindi è un errore)… si parla anche del fantasma di Beppe di Santa Lucia, un pescatore che nella (allora così chiamata) villa delle Sirene passò tre giorni e tre notti con la ‘mantide coronata’. E per far sì che nulla fosse raccontato in giro, il povero pescatore finì in una delle sue trappole che lo portò alla morte. Saputo dell’accadimento, Stella, la fidanzata di Beppe,  maledì la regina e quel palazzo… Si racconta che dall’ora fino ad oggi quell’anatema colpisce chiunque diventi proprietario dell’edificio.

E se questa leggenda, forse risale alla Villa Bonifacio, invece il Palazzo Donn’Anna ne ha una propria negli anni in cui fu costruito. Protagonista la nipote della padrona di casa, ovvero la Viceregina Anna Carafa. La giovane ed avvenente Mercede de Las Torres volle partecipare allo spettacolo teatrale in cui interpretava una schiava innamorata del suo padrone, interpretato dal Principe Gaetano di Casapesenna. Durante un duello la schiava salva il suo padrone mettendo a rischio la propria vita e lo bacia con molto trasporto, la ragazza non sapeva che questi era l’amante di Donn’Anna, sua zia. La Carafa ebbe da ridire più volte nei confronti della nipote, tant’è vero che le liti nel contendersi l’amore del Casapesenna divennero ormai una frequente abitudine. Questa gelosia portò alla scomparsa della ragazza e girò voce che spinta da improvvisa vocazione religiosa, si fosse chiusa in convento. Secondo molti era stata uccisa in una delle segrete del palazzo per volontà della zia. Intanto Casapenna per nulla rassegnato, la cercò invano per tutta Europa, non cessando di pensarla nemmeno quando esalò l’ultimo respiro colpito a morte, qualche anno dopo, in battaglia.

Questo edificio di Napoli è una sineddoche della Natura sulla Storia che si è cancrenata di immagini fantastiche e racconti leggendari che vanno aldilà del tempo, plasmandolo a piacere e stagnando la passione sul riflesso del mare e la voce nella brezza che soffia e spuma su quelle terrazze: «Quei fantasmi sono quelli degli amanti? O divini, divini fantasmi! Perché non possiamo anche noi, come voi, spasimare d’amore anche dopo la morte?» come scrisse Donna Matilde ne Il Palazzo Donn’Anna.

fonte ph: wikipedia

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