Da quando è stata introdotta nel nostro ordinamento giuridico, la Legge Finanziaria è sempre stata considerata anche impropriamente un modo per apportare rilevanti modifiche nelle aliquote IVA vigenti (in aumento o in diminuzione) per le cessioni di prodotti e per le prestazioni di servizi.

I vari governi che si sono succeduti nel corso di questi anni hanno sempre, chi più e chi meno, sottovalutato o sopravalutato la portata di un aumento o diminuzione di un’aliquota IVA nel mercato generale dei consumi e dei servizi.

In alcuni casi si è cercato di dimostrare che un improvviso aumento dell’aliquota IVA per un determinato prodotto non avrebbe mai portato ad un aumento generale dei prezzi, fino ad incidere in parte sul potere di acquisto della moneta, a parte altre cause di cui non parlerò in tale sede, che sono comunque una conseguenza di tali scelte. Si pensi, ad esempio, ad un indiscriminato aumento dell’aliquota IVA per i prodotti dell’edilizia. A parte le ovvie conseguenze disastrose nel settore (forte calo dell’occupazione, cristallizzazione del mercato, minore propensione agli acquisti anche se agevolati, ecc.), una scelta di questo genere può sicuramente avere notevoli ripercussioni sul mercato generale e dei prezzi e nelle abitudini dei consumatori in tema di spese.

Il risparmio IRPEF sulle ristrutturazioni degli immobili, che ha dato sinora respiro alle ditte del settore e agli stessi contribuenti, potrebbe non essere più appetibile o esserlo di meno rispetto al passato.

Se fosse così, vorrebbe dire che l’esperienza passata non ci ha insegnato nulla, in termini di leva sulle aliquote IVA.

Si spera che il legislatore fiscale “inventore” del 36% (o del 50%) IRPEF, ritrovi la strada e presenti un “Fisco” sempre più equo e più vicino alle esigenze dei cittadini/contribuenti.

FONTEDP.R. N. 633/72.
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