Nel 1836 con un decreto di Ferdinando II di Borbone emesso a Capodimonte si approvò la produzione di “vettura a vapore senza bisogno di rotaje” che sarebbe stata costruita in Sicilia. Il decreto regio numero 3337 garantiva ai messinesi Giuseppe Natale e Tommaso Anselmi la concessione per l’introduzione di quello che può essere definito il primo prototipo d’automobile. Ovviamente per il concetto di auto dobbiamo attendere il 1864, ma si tratta di una importantissima testimonianza storica per la storia dell’automobilismo italiano.
Questi descriveva un ‘carro mosso in autonomia da un’idea che risale addirittura al Medioevo, come testimonia un testo del frate francescano Roger Bacon che, nel XII secolo, profetizzò: “un giorno i carri si muoveranno da soli, senza bisogno di animali”.
Oramai la tecnologia a vapore arrivata dalla Francia destò così grande scalpore in tutta Europa che diede la spinta giusta alle innovazioni ed invenzioni per una tecnologia seppur acerba in pieno fermento.
Ne fu un esempio la città di Napoli borbonica che introdusse in Italia la prima ferrovia, con la tratta Napoli-Portici, che ebbe a sua volta un grande “impatto mediatico” e prestigio internazionale. Voluta da Ferdinando II, la linea venne ufficialmente inaugurata il 3 ottobre 1839 ed era a doppio binario e aveva la lunghezza di 7,25 chilometri. La concessione fu data all’ingegnere Armando Giuseppe Bayard de la Vingtrie la concessione per la costruzione in quattro anni di una linea ferroviaria da Napoli a Nocera Inferiore. Il primo convoglio era composto da una locomotiva a vapore di costruzione inglese Longridge battezzata “Vesuvio”, e da otto vagoni. La caldaia era fasciata da liste di legno pregiato tenute insieme da quattro cerchiature in ottone. Il tender a due assi trasportava sia l’acqua che il carbone.
Eppure, la produzione dell’ ‘auto primitiva’ non ebbe seguito pratico. Gli imprenditori avrebbero avuto l’esclusiva sulla produzione per cinque anni con al condizione che sarebbe stata quella di commercializzare la prima automobile entro un anno dalla promulgazione del decreto. Questa condizione non fu rispettata, probabilmente per gli altissimi costi di produzione della caldaia e per l’evidente difficoltà di commercializzare con successo il prototipo così si decise di investire sull’industria pesante dei treni, come poi accadde proprio a Napoli qualche anno dopo.
Infatti le prime caldaie a vapore richiedevano oltre 60 chili di carbone e spostare quattro persone per circa due chilometri all’invidiabile velocità di 7-8km/h, che è poco più di una camminata veloce. Gli automezzi pesavano in media quattro tonnellate ed erano difficilissimi da manovrare e frenare.
Ma non abbiamo nulla da rimpiangere di quegli anni, perché già nel 1816, Ferdinando I di Borbone si ritrovò quasi immediatamente ad affrontare un gravoso e spinoso problema per il Regno delle due Sicilie legato alle vie di comunicazione. Essendo le strade del Regno dissestate e rovinate, il re guardò ad una soluzione sul mare ma veloce. Egli si incuriosì delle navi dotate di ‘trombe di fuoco’ capaci di sostenere viaggi molto più lunghi in tempi minori, permettendo così di trasportare più facilmente prodotti e mercanzie. L’idea era innovatrice e moderna.
L’anno dopo nacque la Compagnia privilegiata per l’introduzione della navigazione a vapore nel Regno delle Due Sicilie, con sede al numero 32 del vico Concezione a Toledo, che assegnò al cantiere Filosa la costruzione di un Piroscafo (lungo 38,80 m e largo 6,15 m) nel quale fu installato il nuovo apparato di propulsione. Composto da due caldaie lunghe ognuna sei metri e da una macchina da 45 cavalli di potenza collegata a due ruote laterali, munite entrambe di otto pale di lunghezza pari a 1,20 m la nave possedeva un’alberatura a Brigantino con un fumaiolo longilineo e sottile. Inoltre, a poppa vennero realizzati 16 camerini passeggeri mentre a prua si progettò un locale comune con una cinquantina di posti a sedere. Sul ponte si creò uno spazio sufficiente per imbarcare addirittura due o tre carrozze.
La Ferdinando I, battezzata in onore del re, navigò nelle acque del Golfo per la prima volta nel 24 giugno 1818 e fu affidata al comando del Capitano don Giuseppe Libetta, primo alfiere di vascello. Dopo alcuni giri di prova la nave, che il popolo napoletano soprannominò o’serpentone, lasciò il Molo Beverello alla volta di Genova e Livorno.
Insomma, il Regno Borbonico ebbe lustri tra idee ed invenzioni, che oggi sono un tassello fondamentale della storia della tecnologia e del progresso tecnologico.