Nel 531 a.C. approdarono presso le coste puteolane alcuni profughi di Samo che, sfuggiti alla tirannide di Policrate che prese il controllo dell’isola greca nel 537 a.C., fondarono con il consenso di Cuma, la città di Dicearchia, in greco “giusto governo”. Per cui Dicearchia visse alle dipendenze di Cuma e difese con essa l’ellenismo della Campania, contro i popoli nemici, prima contro gli Etruschi e poi contro i Sanniti. Con la conquista romana nel 338 a.C. la città crebbe e fu nominata città dei pozzi, ovvero Puteoli. Nel periodo romano la città crebbe per importanza economica e per la politica romana, quindi vi fu una trasformazione urbanistica di grande rilievo, voluta anche dai grandi imperatori. L’anfiteatro non è lontano dai quartieri portuali e commerciali della cittadina, dove sorge anche il Tempio di Serapide, in realtà era il Macellum. L’Anfiteatro Flavio è uno dei due anfiteatri romani esistenti di Puteoli e risale alla seconda metà del I secolo d.C., realizzato per far fronte all’incremento demografico della città, che aveva reso inadatto il vecchio edificio adibito per spettacoli pubblici in età repubblicana. Il primo anfiteatro, infatti, era di proporzioni minori, già vetusto e si trova un poco più avanti. Si ha una chiara testimonianza in Svetonio che parlando dei celeberrimi ludi che venivano fatti al tempo di Augusto a Pozzuoli, narra che in uno degli spettacoli, la calca del pubblico fu tanta che un senatore romano non venne fatto entrare. Affronto grave al quale Augusto volle riparare fissando norme e regolamenti per l’ammissione e per l’assegnazione dei posti ai pubblici spettacoli. Il fatto stesso della costruzione di un secondo anfiteatro, a poca distanza dal primo, induce a supporre che l’anfiteatro più antico, costruito secondo il tipo e lo schema di quello pompeiano, senza cioè sotterranei per le fiere e per tutti i servizi necessari alle venationes (cacce), fu presto giudicato inadatto per tal genere di spettacoli.

Questo Anfiteatro è ritenuto importante, dopo il Colosseo e l’anfiteatro di Capua, in quanto capacità di capienza ma è quello che si è conservato al meglio fino ai nostri giorni nei sotterranei. Esso sorge in concomitanza della convergenza di due vie principali, la Via Domitiana e la via che portava a Napoli e Capua. È stato attribuito agli stessi architetti del Colosseo, del quale è di poco successivo ed alcuni testi riportano la sua edificazione sotto Vespasiano (l’imperatore che fece costruire il Campidoglio e appunto il Colosseo) ma la sua inaugurazione è probabilmente avvenuta con suo figlio Tito (l’imperatore presente durante il 79 d.C. con l’eruzione del Vesuvio). Secondo alcuni studiosi, la presenza di un muratura realizzata con la tecnica dell’opus reticulatum, farebbe pensare ad una sua realizzazione sotto Nerone. Gli spettatori si recavano per assistere ai ludii gladiatores che combattevano con le bestie provenienti dall’Africa, questi gladiatori  erano di solito schiavi o prigionieri di guerra provenienti dai paesi conquistati dai Romani nelle loro campagne militari. Per la sua importanza commerciale ed il suo elevato numero di abitanti, Pozzuoli fu, a quanto pare, l’unica città dell’Italia antica, se si eccettui Roma, ad avere due anfiteatri. La struttura, di pianta ellittica, misura 149 x 116 metri ed era provvisto di una schermatura di vele su pali per la luce e la calura, abilmente promosso dai marinai di Miseno. All’esterno la facciata era composta da tre ordini di arcate sovrapposti e poggianti su pilastri, questi erano sormontati da un attico. Dal portico esterno partivano, inoltre, venti rampe di scale, che permettevano di raggiungere il settore più alto delle gradinate. Corridoi anulari interni permettevano, altresì, l’ordinato afflusso degli spettatori alla cavea attraverso i vomitoria, cioè i varchi di accesso aperti lungo le gradinate. Pregiate decorazioni ed opere scultoree erano presenti in altri punti dell’anfiteatro, e sono oggi visibili nei sotterranei. Erano grandi tabelle che dovevano sormontare non solo i quattro ingressi principali, ma anche gli ingressi minori a maggior vanto di una città che, autorizzata a fregiarsi del titolo di colonia flavia, perché aveva innalzato con le sole sue forze un così grandioso edificio. Nell’arena e lungo la “fossa scenica” si trovavano delle botole, chiuse con tavole di legno, da dove uscivano le belve: tigri, leoni ed anche giraffe. Tutt’intorno girava la cavea ovvero gli spalti che era divisa nei tre livelli di gradinate (ima, media e summa), e permetteva di contenere fino a 40.000 spettatori. Posti a circa sette metri di profondità, sono tuttora visibili parti degli ingranaggi per sollevare le gabbie che portavano sull’arena belve feroci e probabilmente elementi di scenografia degli spettacoli. Dei corridoi servivano anche i sotterranei al di sotto del piano dell’arena, interrotta al centro dalla fossa scenica ed accessibile dall’esterno attraverso due ingressi simmetrici monumentali. La semplicità e la funzionalità della struttura, unita agli elementi decorativi ed ai reperti, in taluni casi ben conservati anche grazie alle piogge di ceneri delle eruzioni vulcaniche, testimoniano la capacità nell’organizzazione degli spettacoli e l’abilità nella realizzazione di scenografie sensazionali per l’epoca, restituendo una certa vena creativa e fantasiosa ai puteolani dell’epoca. Inoltre, la perfetta conservazione delle cortine murarie e delle volte, il gioco di ombre e di luci creato dagli antichi pozzi aperti al piano dell’arena, e la grandiosità stessa di questa gigantesca costruzione sotterranea, fanno dell’Anfiteatro puteolano, uno dei monumenti più profondamente suggestivi dell’antichità.

Un curiosità ma anche parte della storia cristiana è l’accadimento legato al periodo delle persecuzioni di Diocleziano, nell’aprile 305 d.C.. In quell’anno i martiri: Gennaro, Festo, Desiderio e Sossio vennero condannati ad essere sbranati nell’Anfiteatro, ma per l’assenza del governatore oppure, secondo altri, perché lo stesso si era accorto che il popolo dimostrava simpatia verso i condannati e quindi per evitare disordini, il supplizio fu sospeso. Secondo la tradizione invece, il martirio fu mutato per l’avvenimento di un miracolo, quando le belve si inginocchiarono al cospetto dei quattro condannati, dopo una benedizione fatta da San Gennaro. Essi poi saranno decapitati nei pressi della Solfatara insieme ai puteolani Procolo, Eutiche e Aucuzio. A ricordo della loro permanenza nell’anfiteatro, nel 1689, la cella dove furono rinchiusi prima dell’esecuzione della condanna ad bestias, divenne una cappella dedicata al culto dei santi. Questa fu ed è la gloria di Puteoli e della fama del suo Anfiteatro Flavio, che in passato fu il fiore all’occhiello del popolo della “città del buon governo” e oggi resta un luogo da valorizzare e far conoscere al mondo intero.

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