Nella straordinaria cornice di Napoli, in piazza San Domenico, tra il vociare dei turisti e la calda estate d’agosto, tra un caffè e un ricordo, il pianista e compositore, ovvero il maestro Alberto Pizzo, si racconta con voce suadente al nostro giornale.
L’artista internazionale (in copertina foto del famoso Rüdiger Knuth), nato a pochi passi dal luogo dell’incontro quarant’anni fa, si mostra ben lieto di viaggiare con le parole attraverso un racconto accorato e contrastato in merito alla sua già famosa e lunga carriera, non nascondendo di non amare le interviste, sottolineando però che la stima e conoscenza che ci unisce dall’infanzia è un piacevole modo per ritrovarsi.
Alberto Pizzo, napoletano di nascita e internazionale per scelta, e per amore ormai in Giappone, si diploma nel 2004 al Conservatorio della città partenopea di San Pietro a Majella, che gli ha permesso di studiare con grandi maestri ed artisti.
Inizia da subito ma con gran fatica, la sua carriera giovanile con concerti tra musica classica e jazz, ma immediatamente pone le basi di quel carattere contrapposto ed emotivo, romantico e passionale divenendo egli stesso poeta della musica, creando composizioni straordinarie.
Le sue prime importanti collaborazioni sono per Rai International con le musiche e il programma dedicato a Vincenzo Bellini, “dal punto di vista lavorativo non è stato facile, ho dovuto cercare un mio mondo, una mia storia – sottolinea il Maestro – e da oltre 10 anni nei miei concerti inizio con la musica barocca e con Scarlatti, Cimarosa proprio per il legame con le origini della mia città”, e continua dicendo “per poi passare a colonne sonore, libere interpretazioni, mie creazioni, spaziando nella musica che mi contraddistingue”.
Continua come autore delle musiche per Geo&Geo su Rai3, ed incide il 1° Album per la Cinevox Record di Franco Bixio dal titolo “Funambulist” ed il 2° Album “On the Way” con collaborazioni come Mino Cilenu, Toquinho, Renzo Arbore e David Knopfler. “Questi due lavori hanno rappresentato un punto chiave, perché le collaborazioni con grandi artisti ti mettono in una situazione di scontro con te stesso, e finisci per metterti in discussione, tra paura e caparbietà e ti chiedi ‘riuscirò a farcela? ’, non c’è dubbio che riconosci sia una visione nuova delle tue capacità e sia di un ampio respiro artistico”, continua Alberto Pizzo.
Mi sorge una domanda istintiva, un giovane che si è trovato in una città, forse meno predisposta alla musica classica se non incanalata, solo nel teatro, come pone le basi di un’internazionalità?
“La prova del nove l’ho voluta provare sulla mia pelle. Era il 2010 quando decisi da un giorno all’altro di andarmene in America, con pochi soldi, lasciando e rischiando tutto ciò che avevo già costruito, parlandone con la mia fidanzata, attuale moglie, e pensando che in quella condizione io vedevo solo una voragine lavorativa, nessuno sbocco, soffrendo di depressione”, continua “e lì pian piano ho conosciuto dei ristoratori italoamericani, persone che mi hanno avvicinato a personaggi dell’arte, che mi hanno fatto lavorare e conoscere varie star, tra queste Michael Douglas, con cui ho fatto alcune serate private. Questa è stata la prova del fuoco di cui vado fiero.” Ed aggiunge immediatamente “in quella situazione ho amato ed apprezzato la mia città anche ‘pianisticamente’, perché all’estero è considerata una grande scuola di arte e una città dai valori forti che tendiamo, abitandola, a dimenticare e presentandoti come parte di essa vieni accolto, apprezzato, così le tue idee musicali e i tuoi progetti, e così che hanno visto in me qualcuno che stava creando un suo stile non un ibrido”.
Per poi continuare nel mondo…
“Dopo meno di due anni sono ripartito, i primi grandi concerti ed album con la Cinevox di Franco Bixio (la stessa di Ennio Morricone e legata alle colonne sonore) ma anche tantissimi rifiuti e grosse sconfitte, che però mi hanno stimolato a crederci di più: ma la conoscenza importante avviene con lo scrittore Mel Gill, divenuto mio mentore, che mi ha fatto conoscere la forza della mente per non crollare, per non mollare, come la nostra religione barocca napoletana”.
Cosa devi a te stesso, oggi?
“La capacità di non mollare, di crederci, di andare contro i milioni, nella fortune e sfortuna, di ‘no’, la caparbietà che alla base della mia carriera”, con grande determinazione sottolinea il compositore Alberto Pizzo.
Poco dopo, hai continuato con un esibizione straordinaria “Concerto 3 Piano Generation” con Stefano Bollani e Luis Bacalov…
“L’incontro con Bacalov nel treno è tutt’ora sia un sogno, quanto la verità della sua stessa realizzazione, che mi ha di nuovo stravolto la vita. Lui che chiede di voler fare un disco con me, che vuole arrangiare le mie musiche, e andare ad Abbey Road Studios, con la London Symphony Orchestra. Tutt’ora mi sembra un sogno; per quanto poco prima avessi suonato in grandi concerti, spettacoli e diventato Official Yamaha Artist.”
Hai continuato con Luis Bacalov con l’Album Memories della Sony Classic.
“Sì, l’ultimo mio disco e purtroppo l’ultimo del Maestro Luis Bacalov”.
Siamo nel 2018 con la creazione della colonna sonora del film “A.N.I.M.A.” di Pino Ammendola e Rosario M. Montesanti, la collaborazione con PFM Premiata Forneria Marconi e il punto straordinario di eccelsa carriera, ovvero l’unico occidentale con contratto con la Yamaha Music Entertainment.
L’approccio con il Giappone, dove oggi vivi, aldilà dell’amore che indubbiamente ti porta in Oriente, porta ad un altro cambio, perché?
“Senza peli sulla lingua, per la prima volta ne parlo al pubblico, avviene per un dolore, dopo la morte di Bacalov non avevo stimoli, pur se chiamato ovunque (Palestina, Turchia, Brasile, Milano, Corea del Sud con 10 mila persone), non trovavo me stesso. Le aspettative di vita quotidiana fanno nascere uno strappo con l’Italia ed una città in cui facevo fatica a vivere non solo per le condizioni difficili urbane, ma anche di approccio per il futuro incerto per me e per la mia famiglia. Dover spiegare a mia moglie ed al piccolo che così andavano le cose in città era mortificante, quindi l’arrivo di una mail che mi si pose come spiraglio, è l’occasione di una nuova metamorfosi artistica e umana, tra escalation ed involuzione, nonché la rottura con il mio manager; oltre al fatto di essere l’unico occidentale in contratto con la Yamatha.” Con un piglio nostalgico e doloroso “mi sono messo in gioco di nuovo, approcciandomi ad un mondo diverso, in cui si ricomincia risalendo gli stessi cinque scalini già percorsi per farsi conoscere al grande pubblico, ma l’aspettativa di una vita diversa per la mia famiglia rappresentava la priorità, ed oggi ne sono strafelice per questa scelta”.
Il 2 Marzo 2019 sei in Tour con “Amore” piano solo. Il titolo è un po’ il sunto e connubio di questa rinascita?
Il Maestro Pizzo sorridendo “Detto da te sì. In verità nasce per uno scherzo, ovvero Yuto Nagatomo (ex-giocatore dell’Inter) rese questa parola la più popolare e conosciuta tra i termini italiani in Giappone e quando mi fu proposta dalla Yamatha, era un chiaro segno di richiamo alla musica e alle composizioni che suono e creo, che sono avvolte ed opposte al mio virtuosismo con un ‘file rouge’ dalla vena romantica, passionale e melodica che mi appartiene da napoletano.”
Sappiamo dell’amore del Giappone per la musica classica popolare napoletana e in questo periodo (seguendo i social) i tuoi giochi e virtuosismi sulla canzone napoletana ri-arrangiata da te, sono stati seguitissimi, cosa ci attende, possiamo sperare in qualche nuova rilettura?
“In verità nasce da studi e sperimentazioni, che sono nati anche per necessità, essendo stato per ben due mesi solo in casa chiuso per il lockdown in Giappone, e con la mia famiglia lontana, perché in quel momento si trovava in un’altra città. Ho esplorato, ho ristudiato nuove suonate di Scarlatti. Nulla accade per caso, perché pochi giorni dopo il manager di Knopfler mi informa che il maestro vuole fare un latro brano con me e siamo in fase compositiva, e ciò ha aperto le porte al concerto di poche settimane fa a Brandeburgo. Con la Yamaha che ha creato un ponte di collaborazioni, in un momento difficile, tra Italia, Giappone e Germania.” Con estrema emozione Alberto Pizzo aggiunge “inoltre mi hanno fatto firmare, ed ero emozionato ed impaurito, il pianoforte già firmato dai grandi Chick Corea, Hiromi Uehara, tanto che mi sembrava di imbrattarlo con la mia firma”.
Se l’anno scorso hai portato in Germania “Il viaggio nell’anima”, per il 25 luglio 2020 il progetto è “L’amore è la via”, come la foto dell’articolo ti ritrae durante il concerto, per di più fatta dal noto fotografo Rüdiger Knuth, e mi sembra che questa linea e parola ti accompagna nella composizione, nella lettura musicale e nell’approccio con il pubblico che ti segue. È il pubblico che ha bisogno d’amore, oppure sei tu che vuoi dare amore?
“Facendo un passo indietro, scopro l’anno scorso che il mio brano “Il viaggio dell’anima” è tra le prime musiche classiche che vengono continuamente passate dalle radio tedesche. Quindi mi conoscevano con questa opera che nasce come la rappresentazione dell’elevazione dell’anima dall’aspetto terreno e materiale a quello mistico, un percorso che io vivo introspettivo grazie alla meditazione. Fondamentale contrappeso al mio carattere passionale mediterraneo che viene equilibrato con la ‘calma’ giapponese.”
Questa contrapposizione del sacro, profano e vulcanica napoletanità con la tecnologica ma tradizionalista Tokyo, in cui il silenzio è suono e ritmo, come si traduce nella tua persona artistica?
“È uno degli elementi che esploro continuamente, ma mi accorgo che tutt’ora è parte già della mia creazione musicale. La calma e il vissuto giapponese è entrato nel mio approccio con la musica, ad esempio nei live riesco oggi ad essere molto più controllato. Oggi, la mia natura vulcanica, viene controbilanciata e mi permette di ritrovarmi, scoprirmi dentro mentre suono, ad isolarmi dall’emozione che a volte ti gioca contro.”
Come hai risposto professionalmente al Covid?
“Non bene dopo la prima fase zero, depressiva con la rinuncia e la cancellazione di concerti e di collaborazioni. Il lockdown è stato studio e ricerca. Grazie alla Yamaha, nasce per i pianisti il concerto live che diviene una soluzione, momentanea, anche perché resta statica paragonabile ad un piatto gustoso che però non viene consumato fino alla fine.”
L’altra faccia dell’artista Alberto è la quotidiana personale immagine (e i social aiutano a conoscere) del rapporto e dell’amore straordinario che hai con tuo figlio, diverso dal rapporto fisico mentale e ‘sessuale’, introspettivo tra battaglia e dichiarazione che hai con la musica e il pianoforte. Cosa potrai raccontare a tuo figlio di questi primi quarant’anni di esperienze, forti e passionali, oltre alla caparbietà?
“L’appassionarsi a qualcosa e di portarlo a termine. Avendo insegnato piano ai piccoli vedevo la differenza degli anni ’80 in cui il piano era passione e dovere, per dei ragazzini che rinunciavano con estrema semplicità e velocemente nei riguardi di una voglia, di un sogno solo perché si poneva ai loro occhi difficile. Per noi il saggio di fine anno era un obiettivo tra premio e soddisfazione, invece i ragazzini di oggi lasciano perché non sanno, non conoscono, non accettano la tecnica, peccano di passione. Mio figlio è libero di scegliere, non lo obbligo a suonare il piano (non sarà facile il confronto con me e la madre e lo capisco), ho infatti voluto iscriverlo a karate per l’autodifesa. Deve scegliere da solo, con passionalità, affascinarsi a quella scelta e portarla a termine. Oggi, tutti e per tutte le età dobbiamo trovare il continuo equilibrio e noi dobbiamo imprimerlo, dimostralo ai piccoli. Per il fascino il virtuale serve, ma deve essere ludico, altrimenti è pericoloso e quindi puntare sulla realtà.”
Cosa cerchi nel prossimo futuro?
“La conferma dell’artista e delle sue opere, l’Alberto che viene apprezzato per la musica e le sue composizioni, ma che sono frutto di una ricerca di un equilibrio interiore e umano, spirituale e materiale. Un equilibrio posto sulle basi della serenità che possa far sì che sia per la mia famiglia, per chi mi è vicino, e per me stesso, sia sinonimo di ‘crederci’, perché a volte la mia ostilità nella passione mi spaventa, come in un incubo che la costruzione di questa torre abbia basi poco solide, di cartone e possa crollare. Poi il risveglio mi porta alla ragione che la stessa vita nella realtà ti guida. Possa la paura sparire. Pur sapendo che ho poi bisogno della stessa come stimolo a nuove idee e confronti.”