Definita dagli specialisti “una particolare condizione psicologica che spinge le vittime di un rapimento a sviluppare una dipendenza psicologica o affettiva verso il proprio sequestratore”, la cosiddetta “Sindrome di Stoccolma” riguarda un soggetto che ha subito maltrattamenti di varia natura, che finisce per provare un sentimento positivo verso il proprio aggressore, spingendosi fino alla totale sottomissione volontaria, in una sorta di alleanza e solidarietà col carnefice.
Tale “condizione” rappresenta un autentico paradosso del comportamento umano, in quanto la vittima prova simpatia, comprensione, empatia, fiducia, attaccamento al sequestratore, quando più logicamente dovrebbe provare odio, avversione, antipatia e totale volontà di non assoggettarglisi. Per gli esperti non presenta i requisiti indispensabili per rientrare nei manuali di psichiatria e delle malattie mentali, ma in ogni caso essa può essere pericolosa. Anche se non deriva dalla scelta di farsi amico il sequestratore per scongiurare una sorte peggiore, il tutto parte da un riflesso automatico, e tale “legame positivo”, in maniera involontaria, interessa, indistintamente, sia l’ostaggio sia il carceriere, finendo per cementare il legame tra i due.
Nella Sindrome di Stoccolma sono presenti questi quattro elementi:
1) L’ostaggio sviluppa sentimenti positivi nei confronti del sequestratore.
2) Tra i due non c’è mai stata alcuna precedente relazione tra ostaggio e rapitore.
3) L’ostaggio sviluppa sentimenti negativi verso le autorità governative preposte al salvataggio.
4) L’ostaggio mostra di fidarsi più dell’umanità di chi lo sequestra.
Una volta libera, la vittima mostra i seguenti comportamenti:
1) Rifiuta di testimoniare contro chi lo ha rapito.
2) Si sente in colpa per la sua carcerazione.
3) Va a visitare in carcere chi lo ha rapito.
4) Rimane ostile verso la polizia e le altre autorità governative con compiti analoghi.
5) Arriva a organizzare una raccolta fondi per poter aiutare il rapitore rinchiuso in galera.
Ma da dove nasce tale termine? Essenzialmente da un fatto di cronaca avvenuto in Svezia il 23 agosto del 1973, quando un trentaduenne evaso dal carcere di Stoccolma e il suo complice, presero in ostaggio un uomo e tre donne per centotrenta ore consecutive durante una rapina alla sede della Sveriges Kreditbanken di Stoccolma. Gli ostaggi si preoccuparono dell’incolumità dei propri carcerieri, continuando a provare sentimenti apparentemente irrazionali nei confronti dei rapitori, generando una reazione emotiva automatica, a livello inconscio, del trauma di essere vittime.