Nella cittadina di Partenope, luoghi di culto sono nati in periodi diversi della storia e tutt’ora sono punti di riferimento, soprattutto in quei quartieri affollati di palazzine, che confondono il viandante quando passa tra il dedalo di vie e vicoli. Il luogo di culto diviene quindi un ‘porto salvo’ che libera il turista o il napoletano stesso e lo riporta sulla retta via, proprio come farebbe una mamma (o se volete, in una lettura popolare e blasfema nonna).
Quindi, come non ricordare la bellissima e straordinaria chiesa di S. Anna dei Lombardi, già Monteoliveto, fondata nel 1411 per gli olivetani e arricchita di opere di grande rilievo come il Compianto su Cristo Morto del Mazzoni, le cappelle in stile fiorentino e la Sagrestia del Vasari? Ma che nel 1798 per volontà di Ferdinando di Borbone venne ceduta ai Lombardi, che alla Santa erano consacrati. Altra chiesa di riferimento è S. Anna di Palazzo, nel quartiere San Ferdinando, in cui fu battezzato Luca Giordano e si sposò Eleonora Pimentel Fonseca. In verità prima era denominata Chiesa del Rosario di Palazzo, ma prese il nome per la vicina e distrutta chiesa dedicata alla mamma della Vergine. Bianca nel rivestimento di stucchi ma in pieno stile rococò, spicca l’altare maggiore di Domenico Antonio Vaccaro. Così dopo la Porta Capuana, nell’antico borgo di Sant’Antonio, nascosta quasi da bancarelle e venditori, l’entrata alla piccola chiesa di Sant’Anna a Capuana, che nasconde al suo interno uno degli scaloni più belli che la città conserva nei secoli. A doppia rampa l’architetto Astarita avvolge l’entrata in sagrestia e fa ascendere all’altare sotto la cupola con l’affresco del Cardisco. Anche in via Nazionale al numero 33, sorge una piccola chiesa dedicata alla protettrice delle partorienti e degli orefici, in nome della santa e della figlia Immacolata. Infine, basterebbe spostarsi a Sant’Antimo e in altre zone interne della metropoli napoletana.
La storia, però ci porta ad un’altra chiesa amata dal popolo, e forse quella che con lui ha un legame ‘viscerale’, ovvero S. Anna alle Paludi. In questo luogo si fermò a pregare Alfonso d’Aragona per la conquista di Napoli. La zona fu bonificata, ecco perché detta alle Paludi. Con i Borbone, e con il grande rifacimento del Risanamento a Napoli, la Real Chiesa di S. Maria delle Grazie a S. Anna alle Paludi fu nel nome abbreviata ufficialmente. In tale sito religioso da ragazzino cantava, aiutato dal suo parroco, Enrico Caruso che proprio in occasione di un funerale fu notato. Tra le opere d’arte una serie di statue lignee. Va ricordata quella dedicata alla Santa e la Vergine bambina attribuita a Giuseppe Picano; inoltre, un bellissimo olio su tela del Solimena. Proprio in questa chiesa tante le pratiche devozionali tra le quali il Martedì di Sant’Anna, e in tale giorno vi era la messa privilegiata e le pie pratiche tutte dedicate alla Patrona, ovviamente, affiancate a tradizioni culinarie che vedevano tra le altre, la preparazione del pagnottiello, un pane imbottito che poteva essere consumato nella giornata. Molto sentita era la festa con la relativa processione, che tutt’oggi resta una delle ultime feste di quartiere sopravvissute. Ai primi dell’800 della processione si ritrovano testimonianze con la Santa portata per le paludi e per le stradine del Borgo Loreto, su di un carro parato a festa, per un primo momento tirato dai devoti poi portato da buoi.
Legato a questo culto vi è una leggenda popolare in cui si narra che la Venerabile Statua fosse stata ritrovata nelle sponde ristagnanti del fiume Sebeto proprio verso la zona delle Paludi dal contadino Nicolino Panerano mentre tornava dalla battaglia del Ponte della Maddalena, per la cacciata dei Giacobini. L’uomo, distintosi per valore e dedizione alla Fede ed alla Chiesa, scorse una bambina rifugiata su di un albero di melograno. Questa piccola piangeva e chiedeva aiuto per la madre caduta nel pantano mentre scappavano da un serpente che le voleva mordere il calcagno. Così Nicolino vedendo la mano della donna che usciva dal pantano si affrettò a scavare nel fango per estrarla. Mentre scavava si accorse che non era di carne ma una statua, e che portava in braccio proprio la bambina che gli aveva chiesto aiuto e che non vide più sull’albero. Altra affascinante leggenda legata questa volta al cuore sul petto della statua è legata alla figura del barone Mascitelli, il cui palazzo si ergeva proprio al centro delle Paludi. Questi aveva quattro figli, i primi tre maschi e la femmina di nome Ninella. In punto di morte il barone fece promettere ai tre maschi che la ragazza non si sarebbe dovuta sposare così da restare nubile o entrare in convento. La ragazza, che non aveva alcuna vocazione alla vita religiosa, si innamorò invece di Antuono, un garzone a servizio dei fratelli. Quando fu scoperto l’amore tra i due, i tre portarono il garzone nel bosco di Poggioreale e lo uccisero seppellendolo sotto una quercia. Ninella, in pena per la scomparsa dell’amato fece un voto a Sant’Anna: sarebbe entrata in convento alla notizia che il giovane fosse stato bene. La notte la fanciulla sognò la Santa che entrava in casa sua con Antuono, ed il ragazzo rivelò che oramai stava nella Grazia di Dio e dove si trovava il suo corpo. La giovine recatasi sotto la quercia trovò i resti del suo amato, ne prese un ossicino che pose con una ciocca dei suoi capelli in un cuore d’oro, portandolo alla statua della Santa in segno di riconoscenza insieme a tutti i suoi gioielli. L’indomani entrò nel convento di San Gregorio Armeno per non uscirne mai più.
La madre della Vergine, poiché portò nel suo grembo la speranza del mondo, è invocata per la raccolta del fieno e visto che custodì Maria come gioiello in uno scrigno, è patrona di orefici e bottai; protegge i minatori, falegnami, carpentieri, ebanisti e tornitori. Poiché insegnò alla Vergine a pulire la casa, a cucire e tessere, è patrona dei fabbricanti di scope, dei tessitori, dei sarti, fabbricanti e commercianti di tele per la casa e biancheria. È soprattutto patrona delle madri di famiglia, delle vedove, delle partorienti, e viene invocata nei parti difficili e contro la sterilità coniugale. Lei che del suo nome, che dall’ebraico Hannah vuol significare Grazia, è oramai simbolo di protezione. Quanto e pari alla Figlia, non poteva non accendere una fiamma nel cuore del popolo del Sud e in particolare dei partenopei, che quando vedono una madre, anzi una mamma, non possono fare a meno di amarla.