Storia della colonna infame della Vicaria
Mannaggia a culonna.
Stonghe che pacche int’all’acqua!!!!
Me ne vaco cu na mana annanzz e n’ata arete.
Queste tre colorite espressioni napoletane pare abbiano origine da una stessa usanza :
la colonna infame della Vicaria .
Durante il vice-regno spagnolo i debitori che non onoravano i propri debiti venivano esposti nudi allo scherno della popolazione e dei creditori, su di una colonna posta davanti al tribunale.
L’usanza era che al condannato si dovessero calare le braghe e lavargli il didietro, (da cui lo stare con le “pacche nell’acqua”).
Dopo di che, mondato e pulito, il “lato B” veniva offerto alla vista e allo scherno di tutti.
Il malcapitato doveva gridare per tre volte “Cedo bonis” fra squilli di tromba che servivano per attirare meglio l’attenzione.
Poi si denudava completamente e le vesti divise fra i creditori.
Successivamente si lasciava esposto alla “gogna” del popolo che in questi casi non era mai benevolo ed era fatto bersaglio di insulti, di sputi e ortaggi e a volte perfino di escrementi di ogni genere.
Alla fine dell’ esecuzione della punizione, il malcapitato, allontanandosi, per la vergogna copriva le proprie nudità con una “mano annanz e n’ata arete”…..e non potendo bestemmiare in pubblico urlava ..“Mannaggia a culonna!!! “.
Questa usanza in parte si modificò nel 1546 per cui la persona non doveva denudarsi più ma subire solo il pubblico scherno, poi con l’avvento di Carlo di Borbone si abolirà definitamente. Da allora fino al 1857 la base della colonna fu adibita ad una macabra usanza. l’esposizione dei cadaveri di cui non si conosceva il nome…una sorta di sala mortuaria di riconoscimento.
La colonna è conservata nell’androne delle carrozze al Museo di San Martino.