Comandò la flotta aerea nazista durante la II Guerra Mondiale in occasione delle campagne di Polonia, di Francia, di Inghilterra e della nota Operazione Barbarossa. Nel 1941 ebbe il comando di tutte le operazioni nel Mediterraneo.

Dopo il famoso 8 settembre 1943 (governo Badoglio), ebbe il comando di tutte le forze naziste in Italia e partecipò nel 1945 alla resa finale della Germania. Il suo nome purtroppo è legato alla dura repressione dei partigiani e a veri e propri crimini contro dei semplici cittadini.

Purtroppo il processo a cui fu sottoposto terminò con la sua condanna a morte, poi modificata in ergastolo e successivamente ad una ridicola pena di pochi anni in prigione: infatti straordinariamente fu rilasciato nel 1952, senza che si fosse neppure pentito di ciò che aveva ordinato a Kappler. Fu un attentato avvenuto a Roma il 23 marzo 1944 a consegnare alla storia criminale questi due personaggi.

L’attentato avvenne in via Rasella ad opera di 12 partigiani dei gap al comando di Carlo Salinari. In quell’attentato dinamitardo perirono 33 soldati tedeschi e due civili italiani, mentre furono feriti altri 53 soldati tedeschi e 11 civili italiani. I gap erano i gruppi d’azione patriottica. Giorgio Amendola ordinò quell’attentato. La rappresaglia tedesca di Kappler, per ordine di Kesselring, non si fece attendere, ma Kesselring non si sporcò le mani direttamente. La parte del “macellaio” la fece fare a Kappler, sottoposto a sua volta a processo negli anni 1948/1952, unitamente a cinque suoi subordinati. L’ordine era prendere a caso dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso e passarli per le armi, ma il numero dei martiri fu elevato all’ultimo momento a 335. I martiri furono portati alle fosse Ardeatine e là fucilati, per l’attentato di via Rasella. Il luogo di quell’eccidio si trova nei pressi della via Ardeatina. C’è da dire che circa 75 di quelle vittime erano state prima arrestate solo perché di confessione religiosa ebraica. Ma al gruppo dei 335 appartenevano anche 40 persone arrestate per motivi politici, 23 in attesa di giudizio, 16 già condannati e così via. Quei martiri erano tutti originari di varie città italiane.

Kappler fu prosciolto dall’accusa per 320 vittime, in virtù di una scriminante, cioè l’adempimento di un dovere, mentre fu condannato invece per l’omicidio volontario delle residue 15 persone, uccise solo per sua iniziativa. Solo per queste ultime Kappler fu condannato all’ergastolo e incarcerato. La sentenza del 1952 passò in giudicato. Gli altri 5 furono liberati.

Kappler fuggì in circostanze ancora misteriose nella notte fra il 14 e il 15 agosto del 1977.

Un altro suo ufficiale Priebke, rinchiuso in un campo di prigionieri di guerra a Rimini, prese il volo. Kappler fu coperto dalla costituzione della Germania occidentale la quale proibiva l’estradizione di qualunque cittadino tedesco. Kappler non fuggì dal carcere ma dall’ospedale del Celio ove era stato portato per le sue precarie condizioni sanitarie. Ancora oggi il ricordo di quell’eccidio ci emoziona e ci fa comprendere a quale tipo di barbarie umana si può arrivare. A parte l’esito delle sentenze di condanna, in un certo qual modo molto lievi, restano le considerazioni morali legate a quel barbaro eccidio, ricordato da tutti, avvenuto in un periodo storico ancora oggi controverso.

Al di là di considerazioni prettamente giuridiche, nulla può giustificare quella efferatezza e quel cinismo, propri di un esercito ormai in agonia e vicino alla resa finale, schiacciato ad ovest dalle forze alleate ed a est dalle truppe sovietiche.

Ai posteri l’ardua sentenza!

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