Facendo un tour ideale nella miseria delle trincee della Prima Guerra Mondiale sul fronte italiano, si sarebbe potuto trovare una vasta serie di curiosi personaggi.

Tra questi non si può non ricordare il samurai Harukichi Shimoi.

Shimoi era appassionato di Dante e, tanto era il suo amore per il poeta, che decise di trasferirsi in Italia.

Arrivato a Napoli, ottenne la prima cattedra di giapponese all’Orientale, si inserì negli ambienti culturali cittadini e imparò rapidamente il dialetto Napoletano, con il quale si espresse quasi sempre preferendolo all’Italiano.

Si racconta che, durante un viaggio in carrozza, venne offeso e truffato dal cocchiere che immaginava non capisse il dialetto, ma, una volta sceso, il samurai lo prese al bavero e rispose a tono in perfetto Napoletano. Il cocchiere spaventato esclamò: ”All’anema do’ cciappunese! Chist’è cchiu’ napulitane’ ‘e me!”

Con l’inizio della guerra, Shimoi decise di arruolarsi nel corpo che più di tutti secondo lui rifletteva lo stile di un samurai, quello degli Arditi. Questi soldati, che con granate e pugnale assaltavano le trincee austriache, erano mitizzati quasi a livello degli aviatori e il loro modo di combattere sopravvisse fino al secondo conflitto mondiale, con esisti disastrosi per l’esercito.

Durante la guerra, Shimoi conobbe D’Annunzio e si avvicinò moltissimo al Fascismo sansepolcrista, che all’epoca, per molti giapponesi, sembrava riflettere idealmente i valori del Bushido (il codice etico del samurai).

Durante l’ “impresa” di Fiume, Shimoi, fece da staffetta tra il Vate e Mussolini e successivamente prese parte alla Marcia su Roma. Dalla presa di potere dei fascisti, ignorando le stragi e gli orrori cui questi sottoponevano il Paese, fu attivo sostenitore del miglioramento dei rapporti italo-giapponesi e convinse il suo governo a non sostenere l’Etiopia, invasa dall’Italia fascista.

Nonostante questo sostegno molto forte ed efficiente, quando scoppiò la Seconda Guerra Mondiale, Shimoi decise di tornare in Giappone.

Paradossalmente, quando Indro Montanelli (che era diventato suo amico durante la permanenza in Italia) lo intervistò alla fine della guerra, le sue parole per il regime fascista furono inclementi, quanto ironiche.

Con il colore che caratterizzava il suo modo di esprimersi, definì ad esempio Mussolini “uno scimunito”, nonostante l’amicizia che in passato li aveva legati.

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