Lo Yeti.
Una creatura mitologica e leggendaria, facente parte delle credenze popolari dell’Himalaya, ed entrata ormai anche nell’immaginario mondiale. Conosciuto anche con il nome di Abominevole Uomo delle Nevi, fu avvistato per la prima volta nel 1407 dal bavarese Johann Schiltberger, anche se a riferire della sua “presunta esistenza” fu il magistrato inglese R. R. Hodgson nella prima metà dell’Ottocento. Le sue prime impronte furono individuate in Tibet dal maggiore Laurence Austine Waddell Waddell nel 1889, a circa cinquemila metri di quota. Dotato di un aspetto di natura scimmiesca e di una pelliccia tra il bianco e l’argento, viene ipotizzato che possa essere un discendente del Gigantopiteco che sarebbe vissuto nel tardo Pliocene e ritenuto teoricamente estinto, ma di cui potrebbe essere rimasto in vita qualche esemplare isolato. Riuscito a rifugiarsi nelle montagne himalayane, avrebbe “eletto” a suoi territori le aree di Cina, India e Vietnam.
Nel 1957, la celebre casa di produzione Horror Hammer scelse di portare al cinema la sua versione di tale leggenda, su sceneggiatura di Nigel Kneale e regia di Val Guest, schierando il suo attore feticcio, Peter Cushing: The Abominable Snowman (da noi ribattezzato Il Mostruoso Uomo delle Nevi). Il botanico inglese John Rollason, da tempo impegnato a studiare erbe rare in un monastero tibetano, si unisce alla spedizione capitanata da Tom Friend, allo scopo di scoprire se lo Yeti sia veramente una leggenda o una creatura in carne e ossa. Bloccati da una bufera di enorme potenza, lui e gli altri avranno un primo “incontro ravvicinato” con la presenza della creatura, riuscendo ad abbatterla per legittima difesa.
Dopo la fuga della loro guida e la morte di un paio di membri, i superstiti finiscono per ritrovarsi vittime della paranoia e del poco ossigeno presente nel rifugio dove si sono nascosti, finendo per perdere quasi tutti la vita. Solo Rollason, quasi congelato, riuscirà a salvarsi, comprendendo che le creature si sono solamente difese per paura di essere sterminate o trasformate in “fenomeni da baraccone”.