I nostri cari gatti e cani ci allietano sicuramente in questo periodo, per molti o forse tutti sono parte integrante della famiglia, per gli anziani più che una compagnia, ma conosciamo la loro scalata affettiva nella famiglia.
Può sembrare scontato ma non lo è: per secoli cani, gatti e affini furono considerati utili solo se svolgevano un “lavoro”. I cani venivano utilizzati come guardia e partecipavano alla caccia coi padroni, mentre i gatti tenevano sotto controllo la proliferazione dei topi, altrimenti esponenziale.
Non abbiamo informazioni sulle attenzioni che avevano dai loro padroni, e se vi erano delle preferenze. Se guardiamo indietro nella storia, legato anche al considerazione che ne abbiamo oggi, il cane, è considerato addomesticabile e più obbediente, sicuramente affidabile e rassicurante. Invece, il gatto a causa della sua natura indipendente veniva visto con sospetto, viveva tra casa e l’esterno, si intrufolava in casa di nascosto, non accettava comandi e spariva a piacimento; insomma, certamente la sua natura selvaggia e poco domestica non aiutava.
In questo primo articolo dedichiamoci al miglior amico dell’uomo: il cane.
Nella storia esso veniva considerato in modo diverso in Occidente dall’Oriente. Se nel mondo di Maometto il cane era considerato impuro e quindi poco presenti nell’ambito domestico, e doveva essere utilizzato per lavoro (vi è un manuale che spiega come prendersene cura). In occidente invece era considerato simbolo di fedeltà, con richiami allegorici sia verso il re sia verso il papa, tanto dipinti quanto scolpiti. Invece quando veniva ripreso in una scena mitologica o tra le braccia di una nobildonna ritratta allora l’allusione era ardore, era l’amante in versione metaforica.
Nel Medioevo di età longobarda sono state ritrovate sepolture a Povegliano (Verona) e a Testona (Torino); in occidente il cane veniva allevato soprattutto per la caccia, ritenuta una nobile arte, soprattutto dell’èlite, anche in questo caso abbiamo un capitolo intero suo manuale trecentesco di caccia con annesso allevamento dei levrieri del conte Gastone III di Foix.
Così nel Rinascimento nasce l’hobby, molto costoso, di farsi ritrarre col proprio cane (semmai vestiti per la caccia). Ne sono esempi con Carlo V, quello di Eleonora Gonzaga, quello di papa Pio II e persino Petrarca. Esempio importante è quello dipinto da Piero della Francesca, in cui si vede Sigismondo Pandolfo Malatesta mentre prega nel Tempio di Rimini con due levrieri, che gli erano stati donati da Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici.
Si arriverà addirittura di veri e propri ritratti solo degli animali, famosa la storia-leggenda del ritratto di Bareta, opera di Zanetto Bugato per il duca di Milano Galeazzo Maria Sforza, che trasse in inganno un amico del nobile.
Nel particolare per la Chiesa questa passione per il fido amico a quattro zampe non era ben vista, infatti essa sottolineava che il cibo destinato agli animali era sprecato e sarebbe stato meglio darlo ai poveri. Eppure molti religiosi scrissero testi su come crescerli e accudirli, ad esempio il filosofo Alberto Magno, che agli animali dedicò un intero trattato con tanto di consigli per l’allevamento.
Non dimentichiamo dell’iconografia di San Tommaso d’Aquino, santo e dottore della chiesa, che viene rappresentato accompagnato con un cane che porta in bocca una torcia di fuoco-luce. Secondo una leggenda cristiana, la madre Giovanna, prima che lo concepisse, le era parso in visione, di portare in seno un cagnolino, il quale tenendo in bocca una fiaccola ardente, una volta uscitole dal grembo, sembrava dar fuoco a tutto il mondo. Questo indicava che avrebbe concepito un predicatore illustre che aveva il compito di “destare le anime addormentate nel peccato, spargendo per il mondo intero quel fuoco che il Signore Gesù era venuto a portare sulla terra”, dal Libellus di Giordano Bruno. Inoltre, giocando con l’assonanza delle parole, i frati fondati da S. Domenico, i Domenicani, sono stati raffigurati come «i cani del Signore», ovvero ‘Domini canes’, che difendono fedelmente la dottrina della Chiesa contro gli errori delle eresie.
Altra straordinaria storia sui nostri amici a quattro zampe è legata all’inquisitore Stefano di Borbone che, nel XIII secolo, andò ad indagare sui contadini di Lione che si recavano a pregare sulla tomba di un cane di nome Guinefort venerandolo come un santo e attribuendogli svariati miracoli. Riuscì a scoprire che molto tempo prima il castellano e sua moglie avevano lasciato il loro neonato nella culla alla custodia del loro levriero e che nella stanza si era intrufolato un serpente e che il cane aveva sbranato il viscido rettile, sporcando il piccolo di sangue. I padroni fatto ritorno e vedendo il piccolo, dormiente, pieno di sangue credettero che il cane lo avesse sbranato e disperati si avventarono sul povero cane uccidendolo. Sconvolti per l’errore, i coniugi avevano reso omaggio all’eroico animale seppellendolo al castello in un aiola di fiori tutt’intorno a memoria del suo gesto. Guinefort, divenne da subito per il popolo contadino il “cane santo”, addirittura creando un vero e proprio pellegrinaggio.
Ma non è il cane più famoso, vi sono altri…
Il primo sicuramente citato e utilizzato anche come nome, per tanti suoi pari, è Argo il cane di Ulisse cantato da Omero che morì nelle braccia del suo padrone di ritorno ad Itaca. Di Peritas, che era il cane di Alessandro Magno, fedele e coraggioso compagno di battaglia, di cui raccontano Plutarco e Plinio il Vecchio, che lottò contro un leone e un elefante secondo la leggenda.
Di cani coraggiosi come Caffaro, il bulldog “garibaldino”, celebre per aver preso parte, nel 1866 alla battaglia di Ponte Caffaro, a cui deve il suo nome, in quell’occasione colpì con morsi potenti sia il capitano boemo Ruzicka che il tenente austriaco Suchonel. Ed ancora di Rags, che invece fu la mascotte della 1° divisione fanteria statunitense durante la prima guerra mondiale. Divenne famoso, durante l’offensiva della Meuse-Argonne, per essere riuscito a consegnare un importantissimo messaggio, nonostante i bombardamenti con i gas lo avessero reso parzialmente cieco. Ed infine, il più decorato tra i cani soldato, il sergente Stubby. Mascotte ufficiale del 102nd Infantry Regiment dell’esercito statunitense, ha prestato servizio per ben 18 mesi e ha preso parte a 17 battaglie durante la prima guerra mondiale. Viene ricordato soprattutto per aver salvato il suo reggimento da una serie di attacchi a sorpresa con gas asfissiante.
Per ultimi i cani dello spazio, Laika, Belka e Strelka, che negli anni ’50 e ’60 il programma spaziale russo fece ampio uso degli animali a fini di sperimentazione. E se la prima non fece più ritorno (ed era stato previsto) gli altri due rimasero solo uno giornata, orbitando per ben 18 volte intorno alla terra, e poi rientrarono sani e salvi.
Così ricordiamo Lassie e Rin Tin Tin nel cinema e Nippen sul grammofono, o l’emozionante storia al cinema di Hachiko che ricorda nella realtà Fido e Shep che attendevano sul feretro i loro padroni.
Cani eroi, cani storici, cani santi, cani cinematografici… sicuramente amici a quattro zampe, fedeli che hanno lasciato un segno, anzi un impronta.