Il Complesso Monumentale dei Gerolamini è conosciuto per le sue bellezze artistiche legate alla Basilica, cosiddetta Domus Aurea di Napoli, per i suoi chiostri, la pinacoteca e la tormentata Biblioteca. È uno dei più importanti monumenti della città partenopea costruito nel 1586 dall’architetto Giovanni Antonio Dosio, per ricevere successivi restauri settecenteschi da Ferdinando Fuga.
In questo luogo lussureggiante di opere e di elegante forma d’arte conserva e cela una leggenda ‘nera’ e satanica.
La chiesa che resta tutt’ora uno degli esempi del grande trionfo del barocco e di tutte le varie espressioni artistiche del seicento e settecento; con all’interno in particolare il classicismo di Guido Reni, fino ad arrivare alle esuberanti creazioni di Pietro da Cortona, nonché opere di Giuseppe Sanmartino, autore del più noto Cristo velato nella vicina cappella Sansevero, vela il segreto di una leggenda misteriosa.
Tra gli scaffali impolverati tra i quasi 160.000 volumi di storia, teologia e filosofia della biblioteca, spicca per la sua modestia un libro di piccola misura, poco più simile ad un taccuino per appunti, si leggono le parole di un avvenimento che accadde nella Casa dei P.P Girolamini in Napoli nel maggio 1696.
Don Carlo Maria Vulcano era un nobile giovane della città di Napoli che, viveva nell’edificio oggi trasformato ad I.T.C. Armando Diaz su via dei Tribunali, che spinto dal padre volle imparare l’arte della meditazione e per sfuggire alle tentazioni all’interno del Convento dei Gerolamini.
Nella notte del 4 maggio 1696, fu svegliato bruscamente nella sua cella in convento da un grande rumore, paria ad un fracasso. Così aperta la porta della stanza e gli apparvero delle ombre tanto orrende che scappò urlando. Don Carlo raccontò di aver visto esseri, come degli umanoidi ridacchianti che volteggiavano in circolo, sbattendo le loro viscide ali contro le pareti della stanza. Niccolò Squillante, maestro dei novizi Gerolamini, si precipitò in aiuto del giovane convincendolo di essere stato ingannato da incubi. Da quel giorno per un anno intero quelle visioni, quella malombre continuarono ad apparire e spaventarlo. Il frate novizio fu perseguitato da inquietanti fenomeni come il lancio di pietre, rotture di mobili, colpi violenti in piena notte e giorno alle porte, furti di oggetti, apparizioni spaventose, scritte misteriose che apparivano sui muri, abati presi a calci nelle terga.
I frati tentarono di tutto, compreso ogni forma di esorcismo, ed avevano dedotto che l’entità era il Diavolo. I frati, esausti e senza riuscire a carpire come fermare gli avvenimenti, decisero di allontanare Carlo per un po’ dal convento. Il 20 settembre trasferito a Capri (secondo altri prima a Sorrento) alle cure delle monache del convento SS. Salvatore fondato dalla Madre Suor Serafina, la situazione non migliorò, e gli accadimenti peggiorarono come le sedie che andarono improvvisamente a fuoco. Così il giovine decise di rinunciare alla carriera sacerdotale, il 30 marzo 1697 e da quel giorno il diavolo abbandonò per sempre la sua vita, e scomparve dal convento.
Secondo i racconti l’ombra maligna apparve la prima volta in forma indistinta e irreale, una silhouette circonfusa nel buio della stanza, più nera delle tenebre della notte, che lo fissava con occhi ipnotici e di fuoco fin quando poi pian piano si dipanò mostrando il volto infernale e spaventoso.
Da quella famosa notte, il silenzio della notte veniva squarciato da urla disumane, le pietre cadevano dalle volte e magicamente si risollevavano per ricomporle, anche in chiesa quanto in convento, durante i pasti le toghe venivano trovate cucite fra loro ed i frati come incollati, i vetri delle finestre rotti, gli oggetti nascosti e rubati, i monaci percossi, scritte dissacranti ed oscene (a volte fatte col sangue). L’unica pace avveniva quando vi erano le funzioni liturgiche.
Dapprima Padre Niccolò Squillante, maestro dei novizi, poi padre Vincenzo Avitrano e infine i padri Pietro e Domenico Galisio, zii di Carlo. Uno dopo l’altro provarono e fallirono nel tentativo di allontanare l’oscura entità dal convento con esorcismi. Secondo i racconti, lo stesso Padre Domenico intavolò con la figura demoniaca un acceso dialogo e alla domanda su chi fosse, questa rispose placidamente: “Satana in persona”. Intervennero sia l’arcivescovo di Benevento, Pietro Francesco Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, ma anche stavolta l’esorcismo si risolse in un nulla di fatto.
Don Carlo Vulcano (o come qualcuno scrisse Ulcano) resta una vittima del demonio per essersi arreso.
Questa storia ‘nera’ trascritta in un piccolo libricino nascosto tra grandi faldoni, impolverato e madido di leggenda e verità oggi tace nella biblioteca dei Girolamini, dove prima aleggiavano spiriti e malombre, con il loro Signore Oscuro.
di Marco Fiore