Era ampiamente previsto che la serie televisiva del commissario Ricciardi raggiungesse elevati e meritati indici di ascolto.
Il tenore, la cartomante, la duchessa, il bambino sono le vittime dei primi quattro episodi tratti da altrettante opere della fertile penna di Maurizio de Giovanni, traslate sul piccolo schermo dal bravo regista cinematografico Alessandro D’Alatri.
Attori eccellenti in tutti i ruoli loro assegnati, in primis la figura del commissario. La scelta del bravissimo attore Lino Guanciale non poteva essere più azzeccata per espressività, prossemica, misurata gestualità, per il volto che esprime fino in fondo la sofferenza e i moti dell’animo del protagonista, sin da quando, in età adolescenziale, perde la madre e viene affidato alla tata Rosa
( la brava Nunzia Schiano ) che, da allora in poi, sarà il suo unico sostegno familiare.
Un casting particolarmente ispirato ha scelto gli altri attori, tutti in linea con i personaggi da loro interpretati.
Antonio Milo nei panni del paziente e bonario brigadiere Maione. Enrico Ianniello che interpreta il medico chirurgo – medico legale Bruno Modo, caro amico del commissario e sorvegliato dall’OVRA, la polizia politica fascista, per le sue idee, non del tutto velate, contro il regime.
E poi le due donne che manifestano il loro amore per Ricciardi, in modo così diverso, direi antitetico: l’una, Livia, interpretata da Serena Iansiti, bellissima donna, ricca, vedova fatale, ex cantante lirica dal vissuto intenso e contraddittorio; l’altra, Enrica, interpretata da Maria Vera Ratti, ragazza di buona famiglia borghese, timida, introversa, che si accontenta del saluto e degli sguardi dell’amato dalla finestra di fronte. I due si scambiano pudicamente il loro pathos amoroso attraverso gli scritti benevolmente portati a destinazione dalla tata Rosa.
Il commissario innegabilmente subisce il fascino di Livia, ne è quasi inconsapevolmente travolto ma, dal profondo del cuore, ama teneramente Enrica.
Non meno efficace è la figura di Bambinella, il “femminiello” interpretato magistralmente da Adriano Falivene. Si rivelerà in ogni racconto prezioso informatore per il brigadiere Maione sui delitti e misteri della città.
Da citare, inoltre, il prete, impersonato da Peppe Servillo, presso il quale il commissario ogni tanto si rifugia per ricevere consigli e suggerimenti che rinfranchino il suo spirito inquieto.
Il tutto sullo sfondo di una Napoli struggente che la regia, la sapiente scenografia e la ovattata fotografia hanno saputo valorizzare. Una Napoli cupa, spesso piovosa, lontana dagli stereotipi e dalla oleografia ricorrente. Una città, quella degli anni trenta del novecento, in piena era fascista, che vive la sua miseria morale e materiale e la sua disperazione consapevolmente, lontana dagli inganni, dai fasti e dalla retorica del regime.
E’ come se la sapiente penna dello scrittore ci abbia regalato delle perle preziose tirate fuori dallo scrigno antico della nostra amata città.