Prendete le carte da gioco napoletane e incominciamo a giocare con la loro storia…
Le carte da gioco sono da sempre la passione dei grandi e dei piccini, ma soprattutto oggetto che detiene il titolo di ‘convivialità’. Esistono varie tipologie, per varie regioni, esistono con semi differenti, tra le più famose vi sono le cosiddette “carte francesi” e quelle “napoletane”.
Questo gioco si fa risalire in Cina nel IX secolo durante gli anni della dinastia Tang, poco dopo l’invenzione della carta avvenuta sempre lì. Secondo molti studiosi il loro arrivo in Italia lo si deve agli Spagnoli che a loro volta le conobbero grazie agli Arabi, non a caso anche le figure dei re, cavalieri, fanti/pedoni richiamano gli scacchi che dal popolo asiatico era stato inventato.
Non possiamo negare che nel tempo queste figure acquisiscono sempre più con i semi il significato delle classi sociali: le Coppe per il clero, Denari per i mercanti, Spade per i nobili e Bastoni per i contadini. Altri ricercatori ritrovano un riferimento alle quattro stagioni o agli elementi della Terra, Aria, Fuoco ed Acqua che, mescolandosi, danno origine all’intero universo.
Non a caso il momento di massima diffusione del gioco delle carte a Napoli si avrà nella seconda metà del XVI secolo, sotto la dominazione spagnola e altro grande momento di sviluppo sotto il regno dei Borbone. Da questi infatti si ebbe l’emanazione di un’imposta specifica per ogni mazzo di carte circolante nel regno: “un carlino per paro di carte”.
Il mercato era molto sviluppato e l’amministrazione borbonica prese l’appalto della gestione delle riscossioni delle imposte legate alle carte e alla loro vendita, stabilendo un preventivo versamento anticipato di un fitto ben preciso. Dai documenti sappiamo che nel 1748 a Napoli il fitto annuo per la vendita di 100.000 mazzi di carte equivaleva a 8.640 ducati, di questi mazzi 58.000 erano destinati a tutto il Regno, mentre ben 42.000 erano riservati alla sola Napoli.
Ovviamente stiamo parlando di quelle stampate ufficialmente dalle stamperie reali e che portavano il sigillo reale di riconoscimento sul dorso, ma non possiamo negare che esistesse un mercato parallelo.
Se osserviamo bene le carte napoletane, ci accorgiamo di molti elementi spagnoli arabeggianti e di quanto la teoria del richiamo sociale ne sia impregnata. Ad esempio:
il cinque di spade, si propone con una scena di semina, con la presenza anche di un cane con un suonatore, forse lì per un rito propiziatorio. Mentre il cinque di denari rappresenta il sole, ma anche il fiore, di conseguenza l’investimento di un bene per averne un altro (da qui il commercio);
il nove di spade, che è l’unico con la scimitarra o spada ricurva, è un chiaro riferimento agli arabi, anche perché appare un moro;
tutte le carte da gioco dei bastoni hanno una forma di tronchi o randelli tipico spagnoleggiante, così le spade corte;
così l’asso di denari od oro, che si presenta con l’aquila a due teste, altro richiamo spagnolo. Qualcuno si è spinto nel cogliere riferimenti a personaggi dell’epoca, in alcune versioni il re di spade sembra assomigliare a re Ferdinando, mentre qualcuno vedrebbe in uno dei cavalieri, Garibaldi (ma in questo caso ci teniamo larghi).
Notiamo alcune particolarità invece su altre carte da gioco, come le “donne” o meglio i fanti di valore otto, hanno tutte un copricapo e calzoncini corti, quella di spade è l’unica ad avere le gambe senza calze. Secondo alcuni il viso sull’asso di coppe raffigurerebbe Mercurio od Apollo, per altri Bacco.
Infine, il più famoso, ovvero il tre di bastoni: esso si presenta con tre randelli che si incrociano e coperti centralmente da un mascherone grottesco. Per tutti è chiamato il Gatto Mammone, per via dei suoi baffoni che ricordano le vibrisse dei gatti. Il mostruoso uomo coi grossi baffi che ride beffardo, secondo la ‘volontà’ popolare raffigurerebbe un noto personaggio legato alla guardia cittadina, ovvero l’eloquente, sdolcinato, ingannevole Liborio Romano che istituì la guardia dopo aver venduto Napoli a Garibaldi.
Ogni squadra era composta di tre guardie dette ‘capintesta’ con grossi baffi, in testa un cappello con una coccarda tricolore ed armati di bastone. Tra questi si distinse, soprattutto un certo Nicola Ajossa, un guappo senza scrupoli.
La prima ‘legge’ o ‘regole’ nel mondo delle carte napoletane fu scritta da un altro personaggio di cui non vi sono fonti certe, tale Chitarrella. Questo sacerdote domenicano del 1750 compose il codice che porta il suo nome (Codice di Chitarrella). Per essere precisi si tratta di due raccolte di regole: una per il Tressette, l’altra, un’aggiunta scritta in napoletano “jonta”, descrive lo Scopone nel “De regulis scoponis” (da tre secoli sono ancora le stesse regole).
Adesso, quelle carte da gioco, maneggiatele con cura perché sono storia e tradizioni… a proposito scopa (vi siete distratti)!