L’edilizia dei Romani, basandosi anche su strumenti di origine greca, si è distinta per la grandiosità delle varie opere costruite, dagli acquedotti alle antiche domus, dalle terme agli edifici pubblici, dai porti alle strade, e così via.

Credo che non esista al mondo un essere umano che non conosca la fama e le grandiosità delle loro opere. Ancora oggi le continue scoperte archeologiche di quelle antiche costruzioni ci meravigliano e ci fanno comprendere i principi edificativi e i progetti su cui si basarono gli antichi ingegneri romani. La precisione, l’organizzazione del lavoro, la lungimiranza dei nostri progenitori è ancora presente e traspare da ogni sito da loro creato, sia esso una città, un acquedotto, una domus, un ponte, un porto, un teatro e così via. E’ strabiliante vedere oggi queste opere pervenute a noi dopo duemila anni! Alcune di esse sono in ottimo stato di conservazione, proprio perché costruite con criterio e in ossequio ai basilari principi della “scienza della costruzione” allora conosciuta, che ancora oggi costituisce la base fondamentale di quella attuale.

Per gli acquedotti, allo scopo di riuscire a trasportare l’acqua da un’opera di presa (la fonte dell’acqua) ad una città, il relativo flusso veniva regolarmente immesso in appositi canali, o sostenuti da arcate o scavati in sotterraneo. Sia i canali che i sostegni erano costruiti perfettamente, per sostenere il sistema della gravità: ciò voleva dire consentire che l’acqua scendesse, con una pendenza abbastanza costante, dal luogo di captazione al serbatoio terminale. Per questi motivi gli esperti ingegneri romani controllavano continuamente la corrispondenza tra i lavori eseguiti e i progetti fatti. La pendenza era giusta, né troppo bassa, né troppo elevata, per evitare rischi di incrostazioni calcaree nei canali o rischi alle strutture. Il canale, ove defluiva l’acqua, era rivestito da malta impermeabile sia sul fondo che sulle pareti, il cui spessore andava costantemente controllato. Ma in realtà cosa era la malta? Era cocciopesto, cioè una miscela di calce, sabbia, o pozzolana di origine vulcanica (costituita da pomici e scorie vulcaniche), frammenti di mattoni.

Era importante, poi, controllarne la muratura, dotata regolarmente di copertura per proteggere l’acqua dagli agenti atmosferici e dagli uccelli. Esso veniva impermeabilizzato, onde evitare che l’acqua si infiltrasse in qualche fessura. Gli ingegneri, per regolare la pendenza e per gli allineamenti, si servivano di livelle di acqua (corobate), che servivano a livellare canali e condotte idriche. Utilizzavano anche la groma, che serviva per tracciare con esattezza sul territorio allineamenti vari e, per la pendenza, usavano anche la dioptra .

Questi strumenti venivano utilizzati per gli scavi in gallerie e con essi era possibile stabilire la quota esatta relativa all’entrata e all’uscita della galleria, per conservare la pendenza del flusso dell’acqua. Per garantire l’allineamento nell’operazione di scavo, quest’ultimo era serpentiforme. Non era finita! In tutto il tracciato si scavavano vari pozzi, che di regola arrivavano sul piano di camminamento, per creare prese d’aria e aperture varie magari per la asportazione dei residui materiali di scavo. La pendenza media degli acquedotti romani è di circa il 2 x 100. La maggior parte degli acquedotti romani era dotata di vasche di sedimentazione, per il deposito di impurità, di paratoie e serbatoi di distribuzione, al solo fine di regolare la fornitura di acqua, secondo le esigenze concrete.

Il materiale regolarmente utilizzato dalla fine della Repubblica in poi fu il calcestruzzo, fatto da ghiaia, sabbia, cemento e acqua. L’acquedotto finiva con un “castello” terminale, che consisteva in una costruzione massiccia a torre, con camere di decantazione ed una vasca da cui l’acqua, mediante apposite prese, veniva poi immessa nelle varie condutture urbane, per garantire un normale flusso per gli abitanti di tutte le città, grandi, medie o piccole, e di buona qualità. Il curatore delle acque era poi investito del controllo sul normale approvvigionamento idrico e sulla gestione degli acquedotti. Dal 12 a.C. la carica fu coperta da un Senatore di livello consolare e rimase in vita almeno fino all’Imperatore Diocleziano, che preferì attribuire l’incarico al Praefectus urbi.

Tra gli acquedotti costruiti dai romani più noti ricordiamo quello di Segovia in Spagna, Nimes in Francia, l’acquedotto Carolino, gli acquedotti che rifornivano Roma e altri. La capacità di organizzazione e di precisione dei Romani donò a tutto l’Impero centinaia di acquedotti, che rifornirono di acqua tutte le città esistenti, piccole, medie e grandi.

 

Fonte: Il Trattato “De Architectura” di Vitruvio.

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