Il noto regista nominato anche il re dell’Horror come genere cinematografico, ritorna in questi giorni in una veste ancora più forte ed incisiva nella storia del Cinema e non solo.
Alfred Hitchcock autore di capolavori come “Psyco”, “Gli uccelli”, “Il delitto perfetto” e tanti altri film entrati nel mito del Grande Schermo. L’uomo che tormentò gli spettatori attraverso lo schermo con pathos e terrore conserva un segreto.
Nel 1945 diresse un documentario sull’Olocausto, rimasto segreto fino al 1985, prodotto da Sidney Bernstein su ordine del Comando Supremo delle Potenze Alleate in Europa. Questi fu girato da cineoperatori inglesi al seguito dell’esercito, in dieci campi di concentramento, tra cui Dachau, Buchenwald, Bergen-Belsen e Mauthausen.
Arrivato il materiale al regista inglese tutto il materiale che era stato girato di ore ed ore dai cameraman dell’esercito britannico e sovietico avrebbe dovuto inchiodare la Germania alle sue responsabilità, ma il vento della Realpolitik iniziò presto a soffiare e, per mantenere i rinati equilibri tra vincitori e sconfitti, si accantonò il documentario, considerato troppo crudo: mostrava montagne di cadaveri scheletrici, cumuli di capelli, di occhiali, valigie e giocattoli.
Lo stesso regista quando si trovò davanti agli occhi le immagini in una saletta dei Pinewood Studios lo fecero arretrare ed inorridire tanto che scioccato, e in preda allo sgomento, per una settimana non si ripresentò negli studios fuori Londra dove si confezionava la pellicola.
A spingere al silenzio fu la leadership politica a Washington e a Londra che avevano cambiato idea, ritenendo che riproporre immediatamente ai tedeschi le loro colpe per la Shoa non avrebbe aiutato l’opera di ricostruzione e i buoni rapporti con il governo di Bonn.
Quindi quel documentario fu sospeso e non divenne prova diretta degli orrori (quelli veri) che la Germania e i tedeschi del Reich avevano creato, di quanto fosse stata terrificante la mostruosa fabbrica della morte orchestrata da Hitler.
Così il filmato finì in un cassetto all’Imperial War Museum di Londra e lì venne dimenticato da tutti. Riscoperto per caso da un ricercatore americano negli anni ’80, ne fu proiettata una versione incompleta e di bassa qualità al Film Festival di Berlino nel 1984 e l’anno seguente dalla rete televisiva pubblica americana Pbs col titolo “Memory of the camps”, Ricordo dei campi.
Per aspettare altri vent’anni, fino al 2014, perché l’antropologo André Singer mettesse le mani sul materiale e lo portasse finalmente alla luce nel suo documentario Night will fall (Perché non scenda la notte), visibile su rai.tv (le immagini sono molto crude).
Oggi la versione originale e completa è stata recuperata, restaurata digitalmente e sta per essere presentata al pubblico, con un testo letto da un attore contemporaneo (al posto di Trevor Howard, che diede voce all’originale). Entro la fine di quest’anno il documentario sarà proiettato in un certo numero di festival, poi distribuito nei cinema e quindi trasmesso dalla televisione britannica in coincidenza con il 70esimo anniversario della liberazione. Anche la Rai lo manderà in onda.
Qualcuno lo ha definito “l’Olocausto di Hitchcock”, ma è riduttivo ed offensivo. Sia perché il noto regista è legato all’Horror di fantasia tra letterature e sceneggiatura e sia perché ne fu profondamente colpito e scosso.
“Rispetto al 1945, oggi ci siamo abituati a vedere immagini provenienti dai campi di concentramento nazisti, eppure in un paio di anteprime per storici ed esperti abbiamo riscontrato che lo shock continua a essere estremamente forte“, commenta Toby Haggith, direttore del dipartimento ricerche dell’Imperial War Museum e curatore del restauro del film. Ma ciò che sconvolge è l’immediatezza delle immagini e la coscienza dello spettatore di sapere non solo che solo le verità, ma che è quello che quei anonimi cameraman inglesi e russi si sono trovati innanzi agli occhi quando vi arrivarono.
Il ruolo di Hitchcock, che per questo lavoro non volle ricevere alcun compenso, consisteva nell’ottimizzare il materiale in postproduzione insieme al collega e amico Sidney Bernstein. Ma rimase una ferita nella sua esperienza umana e da cineasta che scelse il silenzio… per un orrore reale e non di fantasia.