I consumi si manifestano dapprima presso la classe agiata e, in un secondo tempo, discendono lungo tutta la scala sociale sino a raggiungere i livelli più bassi. Come sosteneva Lévi-Strauss, l’essere umano è l’animal cuisinier e la cucina è un’attività nella quale la società traduce inconsciamente la propria struttura. Il cibo è il risultato di un processo di classificazione culturale che si realizza attraverso una serie di pratiche e conoscenze secondo i tempi di numerose istituzioni sociali, che nella società contemporanea compongono una vera e propria filiera alimentare. Quindi non possiamo esimerci nel vedere la ricerca sfrenata di oggi come una conquista o riconquista, essa non può solo essere una ripresa economica o un revival della gastronomia locale, insomma non è solo un frammento momentanea di felicità ma un nuovo seme da coltivare in piena cultura. Si narra che la vite della Falanghina sia entrata in Italia dal porto di Cuma. I greci avevano l’abitudine di coltivare la vite lasciandola strisciare per terra, ma in Italia questo tipo di allevamento faceva ammuffire l’uva quindi i coloni furono costretti a cercare un’alternativa. Fu così che i primi viticoltori capirono che sollevando la vite da terra e sollevandola su pali di legno, in latino phalangae, si evitava l’insorgere di problemi di botrite. Da questi sostegni nacque il Vinum Album Phalanginum, progenitore della nostra Falanghina. Plinio il Vecchio cita il vino colombino della zona di Puteoli; potrebbe essere l’attuale per”e palummo. La rinomanza dei vini di Pozzuoli perdurò anche nel Medio Evo; infatti il vino de Putheolo era tra i vini prescelti della regia mensa al tempo di Carlo Il d’Angiò.
Allora cosa può fare oggi il consumatore e il produttore per non essere e restare solo effimero ricordo del passato o un turista da Gran Tour? Richiamando le parole di Massimo Montanari: “Nella mitologia greca il fuoco appartiene solamente agli dei, fino a quando il gigante Prometeo non ne svela il segreto agli uomini e incorre nell’ira degli dei. In qualche misura consente all’uomo di farsi divino, di non essere più succube ma padrone dei processi naturali, che egli impara a controllare e a modificare. Da quel momento in poi, non è più possibile dirsi uomini senza cucinare il proprio cibo, e il rifiuto della cucina assume un significato di contestazione della civiltà.”
Ecco che la rinascita dall’Averno, uscendo dopo un’età buia, in cui la coltre del benessere e la cecità delle crisi economiche, sono oggi avvampate tra i fumi della solfatara, tra gli sbuffi dei Titani. Passo dopo passo la Sibilla Cumana ci sta portando all’esterno sulle sponde dell’Averno, tra i templi di Cuma, tra i vapori e le acque di Baia, nel Macellum di Puteoli spazzando via la damnatio memoriae e riportando agli occhi dei locali e di tutti i campani alla riscoperta delle terre. In questo momento fruttuoso si deve porre l’accento alle qualità organolettiche del cibo e dei vini che fu ed è ricco di sapori che costituiscono la stessa cultura che stanno apprezzando. Non si può parlare solo di riscoperta storica-ambientale e antropologica senza connetterla a quella gastronomica, vinicole e ittica della civiltà da cui nasciamo. Noi siamo il seme, l’ovulo ne diviene la storia e il frutto che nascerà sarà la saggezza della capacità dell’uomo di dare un nuovo sapore al cibo, con il sangue dei Titani, il gusto del sacro e profano, la sapidità della storia classica e l’essenza del vissuto.