A Puertollano, in Spagna, è stato inaugurato un impianto di biomassa da 50-megawatt, in grado di poter consumare circa 238.000 tonnellate di biomassa annuali, utilizzando resti dell’agricoltura come sansa di oliva, tralci di vite, foglie di olivo, massa del legno e altro, fungendo da combustibile primario per le operazioni.

Il procedimento, sviluppato dalla società spagnola produttrice di energia rinnovabile Ence Energia y Celulosa SA, ha visto l’investimento di cento milioni di euro – equivalenti a centoundici milioni di dollari – allo scopo di produrre un basso impatto di emissioni di CO2 e riuscire a frenare l’incontrollata e non regolamentata combustione dei residui agricoli, difficilmente smaltibili in maniera ordinaria.

Se il progetto procederà a gonfie vele, l’impianto potrà essere in grado di produrre una quantità di energia elettrica sufficiente a poter riuscire a soddisfare i bisogni di consumo di oltre sessanta mila persone ogni anno, grazie allo smaltimento degli scarti del processo di estrazione dell’olio d’oliva – i cui sottoprodotti più nocivi per l’ambiente sono la sansa solida, le acque di vegetazione e gli scarichi dei frantoi oleari – in quanto contenenti fenoli, composti cristallini caustici ad alta tossicità che causano gravi danni ambientali se non smaltiti nella maniera giusta.

Anche a Gaza viene usato un procedimento simile – ideato da tre giovani ingegneri civili palestinesi – che sfrutta la lavorazione delle olive tramutandola in biocarburanti solidi – i pellet – poi utilizzati per produrre energia utile per il riscaldamento domestico, il cui coefficiente calorifero non solo è maggiore, ma anche più economico dei prodotti petroliferi.

Fonte articolo: Ence & Al-Jazeera

Fonte foto: flamastil.com

FONTEEnce & Al-Jazeera; flamastil.com;
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