L’espressione “Nemo propheta in patria” viene utilizzata generalmente per indicare quelle persone, siano state o siano esse famose o meno, che vedono riconosciute e valorizzate le loro qualità’ ed aspettative in territori e luoghi differenti rispetto a quelli di nascita.
E credo sia stato questo il primo pensiero balzato nella mente del giornalista e scrittore Gregorio Di Micco quando, per la prima volta, all’interno di una edicola, si imbatte’ in un libro che raccontava le storie di emigranti italiani che in varie epoche avevano costruito la propria fortuna all’estero.
Di Micco infatti, fra le altre, si appassiono’ moltissimo alla vicenda di Eduardo Migliaccio, in arte Farfariello, emigrato insieme alla propria famiglia in America verso la fine del XIX secolo, non in cerca di fortuna pero’, perché’ il suo papa’, di estrazione borghese, in realtà’ giunse oltreoceano per acquistare un’azienda e si ritrovo’ di li a poco direttore di una famosa banca in Pennsylvania.
Ma chi era Eduardo Migliaccio, alias Farfariello?
Nasce nel 1882 a Cava De’ Tirreni, graziosa e operosa cittadina alle porte di Salerno, studia e si forma a Napoli, dove riceve una discreta istruzione e si diletta suonando e cantando musiche tradizionali nei salotti borghesi, e nel 1897 parte per l’America, chiamato dal padre che aveva pronto per lui un lavoro come ragioniere.
La vita da impiegato ben presto comincio’ ad andargli stretta, ma allo stesso tempo gli servi’, in quanto venne a contatto con molti immigrati italiani, per i quali era solito scrivere lettere che sarebbero state poi recapitate ai parenti di questi ultimi, rimasti in Italia; giunse cosi’ a New York, dopo aver ottenuto il permesso del padre con la scusa di trovarsi li’ un lavoro come ragioniere, e qui, ebbe la classica folgorazione che gli cambio’ l’esistenza.
La sorte infatti lo porto’ in un bar fumoso ed affollato in Mulberry Street, il Caffe’ Concerto, frequentato da immigrati italiani, che in quel momento ospitava un complesso che suonava musiche napoletane; egli si propose al signor Pennacchio, proprietario del locale, il quale, dopo averlo fatto esibire, decise di assumerlo per cantare e recitare ogni sera nel bar.
Fu in quel momento che la fortuna lo accarezzo’, in quanto Eduardo, ribattezzato Farfariello dagli avventori del locale per l’abitudine consolidata nel cantare una canzone, “Povere Femmene”, in cui compare spesso la frase “Oi Farfarie‘”, riusciva man mano che passava il tempo, ad attirare e coinvolgere una folla di persone sempre piu’ numerosa.
L’abile mimica, l’innata bravura nell’arte del trasformismo, le indubbie doti recitative e canore, fecero di lui un artista a tutto tondo, che portava dentro di se’ ben impressi i valori e le tradizioni della terra natia, adattandoli al contempo al gusto americano ed alle necessita’ degli immigrati, i quali erano costretti ogni giorno a scontrarsi coi pregiudizi e le difficoltà’ nel comprendere la lingua e la cultura del popolo che più’ che ospitarli, li sopportava.
Farfariello fu l’inventore di un genere musical-teatrale, denominato “Neapolitan Machiette” e di un vero e proprio slang, che lui stesso definì “Italglish“, che consisteva essenzialmente nella storpiatura della lingua inglese in un italiano simile nel suono ma non nel significato; in tal modo, ad esempio, cappotto diventa cotto, da coat, la vetrina diventa sciocchezza, da show case e la porta ghetta, da gate.
Ovviamente Migliaccio si rifece tantissimo alle sue esperienze come copista di lettere agli inizi del suo soggiorno americano per creare questo nuovo linguaggio, che peraltro ebbe un successo straordinario sia tra il popolo degli immigrati italiani, all’epoca ritenuti “cafoni”, che fra gli stessi americani, che cominciarono ad accostarsi ed a partecipare sempre più’ frequentemente alle sue esibizioni.
Non di meno e’ da considerare l’altissimo valore sociale che era contenuto in queste “macchiette”, dettato dal fatto che forse per la prima volta in questo modo due culture, due stili di vita cosi’ differenti, venivano in un certo senso a contatto, e cominciavano a conoscersi, seppur nei limiti e con le cautele che un lentissimo processo di integrazione sociale a quei tempi presentava.
Nel Cafe’ Concerto di New York seguirono anni di vero e proprio varietà’, tanto che nei primi quindici anni del Novecento, Migliaccio scrisse più’ di cento macchiette; titoli come “M’parame a via d’a casa mia” , “O capa e casa“, “O dormiglione”, “Scugnizzo smaniuso“, andavano dritti al cuore della comunità’ italo-americana, descrivendo personaggi, uomini, donne, padroni e cafoni che popolavano il Bowery di New York.
Nel 1922 fu protagonista del film “The Movie Actor” ,che venne ripreso e restaurato come cortometraggio dal regista Martin Scorsese per la Mostra del Cinema di Venezia nel 2001, compose una canzone per il tenore Enrico Caruso, si esibì’ anche a Napoli al Teatro Augusteo nel 1937 e fu nominato Cavaliere nel 1940 dal Re Vittorio Emanuele.
I teatri si riempivano quando si esibiva Farfariello, definito nel 1919 dal giornalista Carl Van Vechten “il più’ popolare perché’ ai suoi concittadini italiani esso ispira sia il paese d’origine che quello d’adozione”.
E se e’ vero che gli italo-americani e gli stessi americani adoravano e adorano tuttora Farfariello, lo stesso era ed e’ praticamente sconosciuto ai cavesi, i quali solo negli ultimi 7-8 anni hanno cominciato a conoscere ed apprezzare il loro conterraneo, grazie all’opera del giornalista Di Micco e ad alcune iniziative culturali promosse dall’Amministrazione Comunale cavese.