Gli scienziati del laboratorio di biologia marina dell’Université catholique de Louvain in Belgio, insieme a quelli del National Institute of Water and Atmospheric Research di Wellington, in Nuova Zelanda, hanno rivelato informazioni riguardo l’esistenza di squali che possono brillare al buio.
L’avvistamento, avvenuto al largo delle coste neozelandesi, parla di tre specie di squali differenti, tutti dotati di bioluminescenza – ovvero la produzione di luce visibile tramite una particolare reazione chimica prodotta da organismi viventi – e, in grado, di “brillare” nelle più buie profondità marine.
Il caso è reso più misterioso dal fatto che questa “anomalia” viene documentata e analizzata, in maniera davvero rara, in tre specie di vertebrati marini: lo squalo zigrino – Dalatias Licha – lo squalo lanoso nero o squalo lucifero – Etmopterus Lucifer – e lo squalo lanterna meridionale – Etmopterus Granulosus – con no di loro che viene definito come il più grande vertebrato “luminoso” mai conosciuto fino ad oggi.
Tale scoperta si è avuta durante un’indagine sui pesci del Chatham Rise, al largo della costa orientale della Nuova Zelanda; solo grazie ad essa sono stati notati e uno di essi, lo squalo Zigrino, è stato denominato uno “squalo luminoso gigante” per via della sua lunghezza, di cento ottanta centimetri.
Ora gli scienziati intendono studiare il loro habitat – uno degli ecosistemi meno noti e studiati della Terra – conosciuto, in termini scientifici, come la zona mesopelagica o “crepuscolare”, tra i duecento e i mille metri di profondità nell’oceano, in punti nei quali la luce solare non riesce, in alcun modo, a penetrare.
Il motivo legato al loro bagliore – chiamato anche luce fredda, e che avviene tramite una reazione biochimica con l’ossidazione di un substrato, noto come luciferina, da parte di un enzima, la luciferasi, o per via di un procedimento chiamato fotoproteina – servirebbe a mimetizzarli e a nasconderli dai predatori che giungono dal basso.
Ma è anche possibile che il loro bagliore naturale sia utilizzato per poter illuminare il fondo dell’oceano quando vanno alla ricerca di cibo; solo grazie ad ulteriori studi – che avranno di sicuro un ruolo fondamentale per l’ecosistema marino – tali enigmi saranno chiariti.
Fonte articolo: Nature & The Guardian
Fonte foto: oceana.org