Esiste un posto nella città di Partenope, uno scrigno prezioso, dove la morte non fa paura, dove le parti umane, i cosiddetti “preparati”, sembra ti osservino, ma non con fare beffardo perché ormai passati nel “mondo della verità” come si usa dire a Napoli, ma con la stessa curiosità che avevano in vita e che avrebbero mostrato verso chi, con insistenza, avesse continuato con impertinenza a fissarli. Tutto ciò chiaramente è stato reso possibile grazie al lavoro di illuminati scienziati che hanno profuso amore in quello che per loro non era un lavoro, ma una missione.
Tra questi, spicca Efisio Marini, la cui opera ed il cui ingegno ritroviamo nel testo “Reliquie laiche di patria e amore”, perché il desiderio di Marini è di conservare i corpi delle persone amate, senza che la corruzione della morte possa toccarle, così da lasciare inalterato nella mente il loro ricordo, e proprio la morbidezza dei corpi, l’elasticità, il non uso di artifici come ad esempio di occhi di vetro, restituiscono ad amici e familiari non “Amabili Resti”, ma il caro estinto nella sua interezza ed integrità, se non fosse per la mancanza di calore, unico indizio dell’assenza di vita. I suoi “capolavori” sono conservati nel Museo di Anatomia Umana dell’Università Luigi Vanvitelli, gioiello riconosciuto a livello mondiale, e dove uomini illustri, quali gli anatomisti Domenico Cotugno e Antonio Nanùla, ne hanno arricchito la collezione devolvendo le proprie opere. Non di meno i lavori in cera dello scultore Francesco Saverio Citarelli e l’Omero di Vasalio e tanti altri ancora, rigorosamente custoditi dal Prof. Michele Papa, curatore della mostra nonché dell’opera “Reliquie laiche di patria e amore”, frutto di un certosino lavoro di ricerca che va dall’Archivio di Stato di Napoli, alla Stazione Anton Dohrn, all’Arciconfraternita dei Bianchi della Natività di Nostra Signora a Pizzofalcone.
“La vita era nella morte, i corpi da lui trattati erano fotografati nella vita e come vivi erano morbidi e flessibili, nei suoi colori naturali, così da fissare in modo perenne il ricordo di chi è guardato“. Queste le parole piene di passione della prof.ssa Marielva Torino, che insieme agli altri autori ha potuto restituire ai discendenti dei defunti di cui si è occupato Marini, un pizzico della storia delle loro famiglie, delineando l’opera professionale e morale di un genio, che non indulge nel macabro e sensazionale, perché fu medico e naturalista con un’idea ben precisa, ovvero creare uno strumento scientifico utile all’anatomia, alla medicina legale (quali prove processuali o per l’identificazione dei cadaveri) e alla chirurgia. Suo complice fu il professor Carlo Gallozzi, con cui realizza un campionario di parti anatomiche non infetto su cui impartire lezioni di operazioni chirurgiche agli studenti. Se avesse venduto il segreto alla Francia, dopo aver conquistato l’ammirazione di Napoleone III, oppure alla Germania, probabilmente sarebbe stato tacciato di tradimento, ma il mancato riconoscimento in Patria del suo valore, lo accompagnò tristemente, insieme all’indigenza, fino alla morte.
“La morte si sconfigge con la vita”, qualcuno potrebbe obiettare, e dunque perché non impiegare tanto ingegno per guarire i vivi piuttosto che occuparsi dei morti? Ma quanto torto si farebbe a tutti coloro che hanno perso una persona cara a cui non poter più somministrare farmaci miracolosi. Sicuramente qualcuno avrà creduto di vedere in Efisio Marini il desiderio di sfidare Dio, contrapponendo alla legge divina una sorta di beffardo tentativo di raggirare la grande falciatrice, ma perché non leggere in tanto studio ed abnegazione il semplice desiderio di lenire la sofferenza? Scrittori ed artisti hanno trattato il tema del trapasso nei modi più vari, riuscendo a trovare in essa anche un che di romantico, ma nella realtà la morte è dolore, assenza, distacco, è vuoto incolmabile, è lo spettro che sai di avere attorno ma che non puoi vedere o toccare, è la violenza dell’essere inerme, è sopraffazione, abbandono e persino odio per chi ci ha “lasciati”. “Reliquie laiche di patria e amore”, è un grido di giustizia, è la voce di Efisio Marini, il cui dileggio da parte dei “potenti colleghi” cela l’invidia del successo ottenuto ad ogni invito (come nel 1867 all’Esposizione Universale di Parigi o nel 1873 a Vienna), o riconoscimento, più volte manifestatasi in incarichi degradanti o nella mancata citazione del suo nome accanto a quella di altri scienziati. Ma la sua “formula segreta” andava estorta col ricatto, velato da promesse di affidi adeguati al suo genio. Chissà quante volte si sarà sentito dire: “porterai il segreto nella tomba”, ma quello era il suo tesoro, l’unica moneta di scambio che gli avrebbe potuto garantire il giusto riconoscimento, se qualche mente fosse stata più illuminata e se alla bramosia del successo personale, avesse anteposto il vero desiderio di conoscenza. In questo caso Efisio sarebbe stato chiamato a giusto titolo “maestro” e sicuramente avrebbe rivelato al mondo la formula con cui è riuscito ad alleviare il dolore di tante famiglie.
Dunque, IO VI ACCUSO! Perché non l’egoismo di un genio, ma la grettezza di alcuni omuncoli, ha privato l’umanità del conforto “della presenza in morte” dei propri cari!
“Reliquie laiche di patria e amore”, raccoglie non solo le testimonianze tangibili dei lavori eseguiti da Marini, il tutto abilmente messo insieme dalla prof.ssa Torino, ma anche i ricordi da bambino dell’ing. Giorgio Bertorino, discendente di Efisio, con cui abbiamo fatto un salto nel passato, trovandoci con occhi pieni di ammirazione dinanzi all’enorme e ricca biblioteca di famiglia ad ascoltare i racconti della nonna materna. Siamo stati anche catapultati in Egitto, a Londra o a Torino per ammirare l’opera della natura nella mummificazione o quella dell’uomo nell’imbalsamazione, grazie alla semplice ed accessibile spiegazione del professor Ezio Fulcheri. Non da meno è messo in risalto il ruolo della comunicazione ed i progressi scientifici, che però non sanno spiegare e riprodurre le opere di Efisio, facendoci ancora parlare di Wunderkammer, ovvero camera delle meraviglie o gabinetto delle meraviglie, come sottolinea la project manager Federica Tamburrini nell’opera.
Ma celata da tanta meraviglia, c’è in realtà una vita triste, fatta forse di rimpianti e di sicuro di mancate occasioni, terminata col cancro all’età di 65 anni. Come molti “grandi della storia”, il valore del suo prodigioso lavoro è stato, ed è tutt’oggi, riconosciuto dopo la sua dipartita, quando non potremo più scorgere il baluginio della gioia nei suoi malinconici occhi.