La settimana scorsa Amos Oz, uno tra gli scrittori israeliani più famosi e tradotti in tutto il mondo, è morto a causa del cancro all’età di 79 anni.

Per tutta la sua vita, è stato una delle maggiori voci “fuori dal coro” della corrente sionista, uno tra i più attivi fautori del dialogo tra israeliani e palestinesi e della soluzione di due stati, esortando a intraprendere la strada della moderazione, nel tentativo di creare una pace giusta e duratura.

Una soluzione che, se fosse stata attuata, avrebbe permesso di stabilizzare enormemente il Medio Oriente, non solo attraverso l’ambito religioso (compromesso dagli estremisti di entrambe le parti, che lo sfruttano “buttando benzina sul fuoco”) ma anche su quello economico (fornendo a Israele alleanze che potevano rafforzare i suoi rapporti con il mondo arabo, e garantendogli maggiore sicurezza ai propri confini).

Il fatto stesso che Gerusalemme è una città sacra alle tre religioni monoteiste (per gli ebrei perché si trova il Tempio Santo e capitale del Regno di Giuda oltre che d’Israele, per i cristiani perché Cristo vi ha vissuto e vi è risorto, per i musulmani perché vi è avvenuta l’ascesa al cielo del profeta Maometto) avrebbe potuto fungere da elemento coalizzante per cercare di arrivare a una potenziale pace con la conseguente salvezza di vite innocenti da entrambe le parti.

L’uccisione di Yitzhak Rabin (“colpevole” di aver firmato nel 1993 gli accordi di Oslo che prevedeva il riconoscimento di Israele dell’OLP come rappresentante del popolo palestinese e da parte dell’OLP il riconoscimento a Israele ad esistere) da parte di Ygal Amir, un colono ebreo estremista dimostra il livello di instabilità che ha raggiunto la situazione negli anni, rendendo sempre più pericoloso e difficile, se non impossibile, la speranza di una risoluzione pacifica.

Se Israele non cambia politica, un giorno potrebbe assistere alla sua stessa fine.

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