Cuma (Cumae in latino dal nome greco Kyme), che significa “onda” perché fa riferimento alla forma della penisola sulla quale è ubicata a ovest del lago del Fusaro, poggiata sulla collina nata nel 1° Periodo Flegreo (42mila anni fa) dalle lave e tufi giallo postcalderici del 2° Periodo Flegreo è la culla della civiltà campana. Abitata durante l’Età del Ferro in età preistorica e protostorica, intorno alla metà del VIII secolo a.C. gli ischiatani detti Calcidesi, andarono a fondare sulle rive la colonia ellenistica della Magna Grecia.
Secondo la leggenda, i fondatori furono gli Eubei di Calcide che arrivarono su questa terra attratti da suoni di cembali o da una colomba (Venere) che volava sulle sponde di quelle terre. E così nacque la grande Cuma che tra il VII e il VI secolo riuscì ad affermare il proprio dominio in Campania, fondando tra l’altro Neapolis. Ad essi si deve la diffusione tra le popolazioni italiche dell’alfabeto greco calcidese, e stabilì il suo predominio su quasi tutto il litorale campano fino a Punta Campanella, raggiungendo il massimo della sua potenza e fu in lotta più volte sia con gli Etruschi di Capua he con gli Aurunci di Roccamonfina. Nel 524 a.C. sotto il tiranno Aristodeno (Màlaco) fu sconfitta la lega avversaria e dopo questa battaglia ne seguirono altre due vittoriose: una prima accanto ai Latini ad Aricia ed una seconda nel 474 a.C. al fianco dei Siracusani con la flotta cacciando gli etruschi definitivamente dal territorio. Infatti queste guerre vengono ricordate come battaglie di Cuma o campagna di Cuma. Nel 421 fu occupata però dai Sabelli (sanniti osco-umbri) rimanendo con usi e costumi ellenici.
Nel 334 a.C. Cuma, oramai parte della conquista romana della Campania, diviene civitas sine suffraggio (città senza voto) e fermando Annibale divenne addirittura Municipium, cioè poteva usare il latino per gli atti ufficiali. Tarquinio il Superbo, l’ultimo re di Roma, visse gli ultimi anni della sua vita in esilio a Cuma dopo l’instaurazione della Repubblica Romana e Lucio Cornelio Silla, generale e dittatore, vi morì nel 78 a.C.. Durante l’ultima fase della Repubblica a pochi chilometri venne stabilita la base della potente flotta navale di Ottaviano Cesare Augusto e dopo la vittoria di questi su Sesto Pompeo divenne un luogo di riposo e quiete, un rifugio dalla tormentosa Pozzuoli, soprattutto perché circondata dalla Silva Gallinaria, una macchia mediterranea con lecci su fondo sabbioso privo d’acqua che ancora oggi incoronano l’area archeologica.
Questa città e civiltà tenne testa per lungo tempo ai barbari per la strategica fortificazione, e divenne un baluardo della cristianità ma poco dopo cadde sotto il dominio dei Goti e Bizantini, per finire infine nelle dominazioni longobarde e infine essere governata dai duchi di Napoli. Le scorrerie dei Saraceni le diedero il colpo di grazia, insediati sull’acropoli dove potevano trovare un rifugio sicuro nelle gallerie del monte, i pirati seminarono a lungo il terrore, finché quest’ultimi vennero sconfitti nel 1207 da Goffredo di Montefuscolo a discapito della città che fu quasi rasa al suolo.
Da quel momento Cuma fu pressoché disabitata, ed il suo territorio, soprattutto nella parte bassa, divenne un immenso pantano, l’acquitrino e la vegetazione infestante fece il resto. Solo al principio del sec. XVII con la ripresa dell’agricoltura nel territorio i solchi dell’aratro portarono alla luce rovine di statue, colombari ed ipogei della necropoli romana. I primi scavi iniziarono nel 1852, durante i lavori di bonifica, con la scoperta di tombe preelleniche e pitture osco-campane, colombari di età romano repubblicana ed imperiale, addirittura scheletri privi di testa (inspiegabile). Ma la Seconda Guerra mondiale portò ad un arresto delle ricerche, infatti fu sfruttata per la sua posizione strategica e usata come bunker per l’utilizzo di cannoni.
Dell’età greca non rimangono che pochi avanzi come fortificazioni in blocchi squadrati di tufo risalenti al V sec a.C. riutilizzati dai Romani. Ne sono un esempio il Tempio di Apollo e di Giove, i quali hanno subito il riutilizzo sannita e poi romano, ma radicali soprattutto nel V e VI secolo d.C. con le chiese cristiane secondo lo schema basilicale. Questo è anche il posto dove, secondo la tradizione, fu ispirato da una visione Il Pastore di Hermas, uno dei primi scritti cristiani. Dove è possibile entrare nel singolare e suggestivo corridoio “Dromos” lungo 131,50 m e largo 2,40 e alto 5 m ca., scavato a forma trapezoidale, illuminato da 6 gallerie laterali ed ascoltare la voce della Sibilla.
L’Antro oracolare della Sibilla cumana, di cui parla Virgilio nel canto VI dell’Eneide, che si apre prima della Cripta Romana, che scorre sotto il monte, tagliando la collina che univa la città bassa con il porto, luogo strategico voluto da Ottaviano e fatto costruire da Agrippa nel 37 a.C, durante il periodo della guerra civile. Infine la città guarda all’Averno (A-ornis che dal nome greco senza uccelli) che con il suo alone di mistero e di inquietudine che aleggiava da sempre in questi luoghi. Dalle acque si raccontava che fuoriuscivano i miasmi che si alzavano fino in cielo, come nebbia, ritenuti letali anche agli uccelli che vi sorvolavano sopra (appunto privo di uccelli), Inoltre da prima dei latini si racconta che lungo le sponde erano visibili ombre, i Cimmeri, che vivevano sulle sue sponde e che usciva o rientravano all’ingresso dell’Ade. Ed allora, il poeta canto, parole pari ad un vaticinio:
Poscere fata / tempus, ait – deus, ecce deus!
[…è tempo, dice, / di chiedere i fati – il dio, ecco il dio!]
Così noi, ci accingiamo al tramonto, in quella grotta o su per quella collina, per parlare agli Dei o alla Sibilla e sentire la voce di tutto, anzi dove tutto è iniziato.