Dopo più di settant’anni, il team di ricercatori che scoprì la Grotta di Rabbi Judah ha potuto finalmente scoprire il segreto dell’iscrizione presente al suo interno, il cui alfabeto sconosciuto è stato un enigma fin dal suo rinvenimento. Originariamente, il complesso faceva parte della catacomba di Beit She’arim e, oltre a fungere da luogo di sepoltura, era anche un’istituzione nell’apprendimento della cultura ebraica di quei tempi antichi. Fino ai giorni nostri, nessuno è riuscito a decifrare le lettere che componevano il graffito, concentrandosi sui reperti presenti nella struttura, fino a quando due esperti di storia iraniana non hanno proposto alcune ipotesi fuori dai normali schemi.

Basandosi sugli studi effettuati dal professor Jonathan Price, classicista dell’Università di Tel Aviv, l’intera frase sarebbe stata composta usando la scrittura Pahlavi, un antico alfabeto utilizzato non solo per l’amministrazione e la rendicontazione, ma anche per le iscrizioni reali dell’antico impero persiano, aggiungendo all’interno di essa lettere ebraiche o aramaiche insieme a quelle latine e greche. Secondo il professore di storia antica Domenico Agostini, si tratterebbe della “traduzione translitterata” di una preghiera o di una benedizione / invocazione nei confronti del re di Persia, lì collocata per motivi che, ancora oggi, risultano ignoti.

FONTEtecnologia.libero.it
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