Oggi vivendo in una società sviluppata, globalizzata e avanzata, gli individui hanno raggiunto un elevato livello di benessere e sono abituati a soddisfare i propri bisogni e desideri adottando determinati standard di consumo. L’evoluzione del consumatore rispetto al passato viene mostrata nei termini in cui egli non ha più un ruolo passivo nel processo decisionale ma anzi ha sviluppato determinati valori come la salute ed il rispetto per l’ambiente, che ricerca anche in ciò che mangia. Per lungo tempo, il consumo è stato visto come un’attività meramente razionale, legato all’attività economica con la conseguenza di escludere a priori la sua rilevanza sociale. Ma con il passare degli anni e l’avvicinarsi del consumismo secondo Veblen, l’agire di consumo è come un segno di distinzione e di prestigio sociale. Egli osservò, infatti, come i diversi gruppi marcavano la propria posizione sociale attraverso i comportamenti di consumo. Gli individui consumavano per la necessità di ostentare socialmente la quantità di prestigio e di onore insita nella propria posizione (status), la quale era a sua volta dipendente dalla ricchezza monetaria posseduta. Se oggi possiamo porre queste regole sociali della globalizzazione attuale alle radici del passato è possibile dedurre che l’individuo e il suo rapporto con il cibo si è intessuto grazie alla dimensione religiosa, e nella dimensione leggendaria-storica. Fu il tempo in cui generati da Urano (il Cielo) e Gea (anche Gaia, la Terra) nacquero i Titani e le Titanidi (fratelli e sorelle, incestuosi ma divini). I Titani vengono solitamente considerati come le forze primordiali del cosmo, che imperversavano sul mondo prima dell’intervento regolatore ed ordinatore degli Dèi olimpici. Costoro dall’etimologia greca sono coloro “che producono sforzo” od ancora “che tendono all’alto” e ciò ben si sposa con il nostro territorio. I Titani furono rinchiusi in punizione nelle viscere dei Campi Flegrei da Zeus alla fine della lotta per il dominio e tutt’ora fanno ardere le terre con gli sbuffi e con rabbia perché cercano incessantemente di liberarsi ed uscire. Ed è durante questo sforzo che nelle nostro terreno si produce quel calore-energia che giace e permane nel cibo, divenendo linfa per la storia o sangue della Musa Clio, e dei frutti che ancora Gea, la terra ci dona. Ma ad arricchire queste leggende classiche vi è la storia delle origini con l’arrivo nelle nostre terre dei fondatori di Cuma. Gli Eubei di Calcide che arrivarono attratti da suoni di cembali e da una colomba (Afrodite) che volava su quelle terre, la nascente Cuma. Città che affermò il proprio dominio su tutto il litorale della Campania, fondando tra l’altro Neapolis. Ad essa non solo si deve la diffusione tra le popolazioni italiche dell’alfabeto greco calcidese, ma la tradizione culinaria.
Quindi il seme con l’ovulo fecondato, che si schiude nelle nostre viscere diviene storia vitale per tutto ciò che oggi concerne la realtà flegrea. Nel frattempo, anche le acque di questi luoghi e i siti diventano magiche e ricche di elementi che riportano alla leggenda e alla grazia divina che fuoriesce dal terreno sottostante. Cosicché l’Averno, (A-ornis che dal nome greco significa ‘senza uccelli’) portava quell’alone di mistero e di inquietudine che aleggiava ed aleggia da sempre in questi luoghi. Dalle acque si raccontava che fuoriuscivano miasmi che si alzavano fino in cielo, come nebbia, ritenuti letali anche agli uccelli che vi sorvolavano sopra. Inoltre da prima dei latini si racconta che lungo le sponde erano visibili ombre, i Cimmeri, che vivevano sulle sue sponde e che uscivano o rientravano all’ingresso dell’Ade. Tanta fu la fama del culto infernale che l’antro non fu solo il Dromos ma addirittura la Grotta della Sibilla, e sono questi gli anni in cui si sente parlare del Cappero. Aristotele e Dioscoride ne ricordano l’attitudine medicinale e cosmetica, mentre Plinio il Vecchio li distingueva secondo la terra d’origine, e sosteneva che quelli Africani arrecavano danni alle gengive, mentre quelli Pugliesi scioglievano l’intestino. Venivano fatte delle fosse, ricoperte di pietre, per far sì che le radici s’insinuassero tra loro. Inevitabilmente in queste terre di estrema impressione di vita e di morte, in cui il sacro e il profano erano fuse in un unicum percettivo, ciò era sopra e sotto ogni essere vivente diveniva magico.
Allora perché non pensare che lo fosse anche il cibo? Perché da quella stessa terra non si poteva cogliere la stessa ricchezza di forze e principi, di sensazioni e poteri magici, di appartenenza e di tradizioni, di medicamento e benessere?
In virtù di tali prerogative, si può facilmente intuire con quale fervore, i più ricchi e famosi personaggi dell’antica Roma, si riversarono su questa zona, per costruire le loro ville soprattutto lungo il litorale. Ma fu soprattutto dopo che Pompeo ebbe debellato la pirateria che lo sviluppo edilizio di Baia dei patrizi non ebbe più freni e con esso quello della cultura dell’allevamento ittico e della coltura delle terre tra vini e leguminose. Dalla Fava (Vicia faba) che è un legume di origini antichissime, quale cibo dei morti. Oppure le cicerchie (o cecerchie) il cibo dei contadini e dei poveri si presentava come una pianta della carestia, riuscendo ad attecchire facilmente e necessitando di ridottissime quantità d’acqua. Od ancora le prime notizie sulle ostriche che risalgono ai greci che le utilizzavano per ricavarne monili preziosi e come moneta di scambio; pare che le ostriche venissero cotte nel miele, a cui veniva addizionato vino e spezie per ottenerne una vera leccornia, ritenute afrodisiache perché la dea nacque al centro. Infine fu di un certo Sergius Orata, romano di oltre 2.000 anni fa, l’idea di immagazzinare ed allevare ostriche conservandole in profonde buche scavate nel terreno nonché i molluschi bivalvi, conosciuti comunemente come mitili o mitilidi.
Certo si potrebbe pensare che molti di questi beni era prerogativa solo della classe agiata, ma anche se fosse stata essa funge da paradigma referenziale per tutte le altre classi, ognuna delle quali, a sua volta, è riferimento per le sottostanti: è il cosiddetto trickle down effect (effetto sgocciolamento).