Serve ora raccogliere tutta la nostra forza e il nostro coraggio: è ora di mettere in campo la nostra capacità di reazione senza sterili polemiche, riconoscendo a noi italiani la capacità di rinascita e di collaborazione che sempre ci ha contraddistinti. Siamo un popolo di santi navigatori ed eroi? Chissà! Certo ora siamo un popolo straziato da lutti e malattia da nord a sud, nessuno si arrende; siamo una piccola nazione ma con un cuore grande che non ha mai rifiutato di accogliere ed ora viene ripagata dall’aiuto inaspettato di grandi potenze che non hanno esitato a soccorrerci nell’emergenza, ne è un esempio la vicina Albania, ancora straziata dal recente terremoto, fa la sua parte, riconoscente per l’aiuto ricevuto per il terremoto che l’ha recentemente devastata.
Così Napoli che è città da mille contraddizioni ma è la città più abituata a risollevarsi anche dalle tragedie più grandi e la storia è testimone. In città siamo tutti attivi a cercare di aiutare chi è in difficoltà: famiglie, scuole, associazioni. La gente ha bisogno di sicurezza e rassicurazioni; Napoli allarga le braccia e accoglie con la solidarietà più semplice che è quella del passaparola e dona a chi ha poco o nulla. C’è un popolo di eroi che non devono essere dimenticati, quelli che per libera scelta sanno che combattono un nemico pericoloso e invisibile, un nemico che può annidarsi ovunque, che può nascondersi in un abbraccio o una stretta di mano come in un lembo di camice o sulle mani usate per curare. Non dimentichiamo mai più lo storico eroismo dei nostri medici ed infermieri napoletani; eroi ancor di più per lo stato penoso della nostra sanità che li manda in trincea il più delle volte senza strumenti, consapevoli del rischio ma determinati a combattere. Non dimentichiamolo mai più, quando tutto sarà finito dobbiamo pretendere che abbiano dignità e rispetto sul posto di lavoro. I nostri ospedali si stanno attrezzando, altri sono già operativi ma sono loro a fare la differenza e tante volte ci chiediamo perché queste donne e questi uomini sono accorsi volontariamente a combattere questa guerra.
Abbiamo chiesto ad alcuni di loro perché hanno fatto questa scelta e come si svolge la loro giornata e cosa manca nei nostri ospedali. Abbiamo posto le domande più semplici che un comune cittadino può fare, le cui risposte ci consolano e fanno sentire sicuri. In primo luogo abbiamo chiesto come regolarsi per le emergenze di pronto soccorso a quello che è uno dei più importanti, se non il maggiore, polo di pronto soccorso del meridione, il Cardarelli, e ci è stato detto che il pronto soccorso funziona regolarmente per le emergenze con i relativi reparti quindi i pazienti in stato urgente di necessità non devono temere di essere abbandonati.
Per ora il padiglione H ospita i primi malati covid in attesa che domani vada in funzione il reparto covid nell’edificio M ed è qui che abbiamo scoperto una piccola storia di buona sanità che non deve farci dimenticare che ci sono uomini e donne che fanno del loro lavoro una missione. Lei è Stefania, una giovane infermiera che ha scelto volontariamente di lasciare il reparto maternità per lavorare nell’emergenza covid19, lei è uno dei tanti esempi d’amore e dedizione al suo lavoro che fanno grandi gli italiani e ci ha risposto che ha aderito volontariamente alla richiesta di arruolamento da parte dell’azienda ospedaliera.
“Ho voluto con grande forza vivere questa esperienza per dare una mano e come me tanti ragazzi hanno fatto questa scelta e tra di noi a malapena ci conosciamo. Al cambio turno, se non fosse per il nome scritto sulla tuta con un pennarello, non riusciremmo nemmeno a riconoscere il collega che ci lascia le consegne. Si intravedono solo gli occhi sotto le maschere protettive. La nostra giornata comincia con la vestizione e con la paura di non sapere cosa ci aspetta, la stessa che ci colpisce di nuovo durante la vestizione; anche un piccolo errore potrebbe mettere a rischio le nostre famiglie a casa. Il reparto è sorto in poco tempo convertendo una sala operatoria in una terapia intensiva. Insieme al caposala, persona attenta e disponibile, abbiamo cercato, con le poche esperienze di ognuno di noi, di organizzarlo al meglio, facendo richiesta di tutto l’occorrente che a volte risulta ancora insufficiente. Nei primi giorni abbiamo avuto anche problemi anche con DPI (dispositivi di protezione individuale) senza i quali non potremmo nemmeno lavorare. Da parte di ognuno di noi c’è l’impegno e la volontà di creare un gruppo di lavoro idoneo a questa situazione. Nonostante turni di 6h antimeridiane e 12h notturne, con i dispositivi indossati che a momenti sembrano toglierti l’aria, cerchiamo di essere sempre positivi.“
Ricordiamoci di queste belle storie, dei nostri uomini e donne della sanità, quelli che ci rendono orgogliosi e ci rassicurano con il loro amore e dedizione.
Grazie a tutti loro!